Partiti! Stavolta, senza passaporto, né assicurazione sanitaria e niente volo di dodici ore. Meta piuttosto vicina a casa: il Portogallo.
Una sorpresa dietro l’angolo, si può dire. Un paese dal cielo azzurro intenso, verdi colline ricoperte di viti o di rugose querce da sughero, il cui tronco sembra sanguinare quando viene “sbucciato”.
Estesa sui ripidi pendii dei colli che declinano sul Rio Tejo, Lisbona, melanconica e romantica, ti affascina, con i suoi miradouri, da cui osservare magici scorci, sferzati dal vento; il sole è caldo, ma l’aria è fresca. Su e giù sul tram 28, tra brusche frenate e salite arroccate, puoi passare in rassegna tutti i tesori della città: la medievale Sé, l’imponente Praça do Commércio, la più grande d’Europa, lo splendente Panteão Nacional, con la sua cupola bianca come la porcellana.
Per le strade dell’Alfama, il cuore moresco della città, proprio al di sotto di ciò che resta del Castelo de São Jorge, tra le botteghe, i piccoli bistrot, le case ricoperte dei tipici azulejos (piastrelle di ceramica, decorate di celeste), risuona il canto nostalgico del Fado: struggenti melodie, suonate da chitarre a dodici corde e accompagnate da una voce che racconta storie di separazioni dolorose e svolte del destino, di amori distanti, di un ardente desiderio di tornare a casa. Nessuno conosce le sue origini, ma sono ben evidente le influenze dei ritmi brasiliani, dei canti moreschi e delle canzoni dei trovatori provenzali. Sicuramente rispecchia l’emozione che più contraddistingue l’animo portoghese, di un popolo di viaggiatori ed esploratori prima, di migranti poi: la Saudade. E’ il desiderio nostalgico, spesso profondamente malinconico, di qualcosa che si ama molto, che si rimpiange, che si è lasciato, a cui si vorrebbe fare ritorno.
On the road, sulla costa atlantica in direzione Porto, tappa obbligatoria è Sintra. I celti vi adoravano la luna, i mori l’hanno fortificata, i reali borghesi nel ‘700 l’hanno adornata, ecco il primo gioiello medievale del Portogallo. Sì perché un viaggio in Portogallo è anche un’avventura indietro nel tempo, al riparo di possenti mura merlate e svettanti bastioni come quelli del Castelo dos Mouros, che dall’alto protegge l’antico villaggio. Ortensie selvatiche, felci, il profumo della macchia mediterranea che si mescola a quello di querce e pini, giganti rocce granitiche, levigate dagli anni e dal vento; un posto mistico, selvaggio, pieno di storia.
Se sei fortunato, poi, puoi giungere in un piccolo villaggio, animato da una festa medievale; un vero tuffo nel passato. Sorseggiando gingjinha, un forte liquore alla ciliegia, servito in bicchierini di cioccolato, ti perdi tra i viottoli nelle mura del castello, attratto dalla musica di menestrelli, divertito dai buffoni e stregato dalla bellezza dei costumi delle dame.
Melodie d’altri tempi, allegre e scanzonate, si mescolano al forte odore di maialino allo spiedo e fiumi di idromele accompagnano il calar del sole che tinge di rosso i bastioni di Obidos.
Scivolando tra i meleti ed i filari di pere, addentrandosi nella regione dell’Estremadura, ecco il magnifico Mosteiro de Santa Maria da Alcobaça. Fondato nel 1153 da Dom Alfonso Henriques, il primo re del Portogallo, cela il segreto di una struggente storia d’amore. Entrando si assapora l’imponenza dell’ambizione gotica, con un’austera navata lunga ben 106 m., stretta 23 m. e troneggiata solo da candide colonne tronche; ai lati dell’altare riposano Dom Pedro e Dona Inês de Castro. Leggenda vuole che Dom Pedro, figlio del re Dom Alfonso IV, s’innamorò della dama di corte di sua moglie. Il re, non solo ostacolò il loro amore anche dopo la morte della principessa, ma addirittura ordinò l’assassinio di Inês. Dom Pedro, salito al trono, si vendicò strappando e mangiando il cuore degli assassini. Riesumò e incoronò il corpo dell’amata e ordinò alla corte di rendere omaggio alla defunta regina, baciando la sua mano in decomposizione. Ora riposano uno di fronte all’altra, cosicché quando verrà il giorno potranno alzarsi e guardarsi dritto negli occhi.
Passeggiando nel monastero a fianco della chiesa, sembra proprio di stare tra le pagine del celebre romanzo “Il nome della rosa” di U. Eco: una grandiosa cucina pronta a sfamare fino a 999 monaci, descritta dagli storici dell’epoca come “il più raffinato tempio della gola di tutta Europa”, servita persino da un canale d’acqua perché il pesce arrivasse ai cuochi ancora vivo; il refettorio con soffitto a volta, a cui si accedeva tramite una stretta porta, in modo che chi non riusciva a passare perché troppo grasso era costretto a digiunare; infine, un enorme dormitorio, con piccole finestrelle.
Non molto distante, nel verde della valle di Tomar, si erge il Convento de Cristo, un altro luogo intriso di storia. Era il quartier generale dei templari, il leggendario ordine semi-religioso fondato nel 1119 da cavalieri crociati francesi per proteggere i pellegrini in Terra Santa. Facevano voto di castità e povertà e indossavano un mantello color avorio decorato solo da una croce rossa, un simbolo che in seguito fu associato al Portogallo stesso. Qui infatti svolsero un ruolo importante nella cacciata dei mori e divennero potenti grazie alle terre ottenute come ricompensa. Il re di Francia, nel XIV secolo, intimorito dalla loro potenza, iniziò un periodo di persecuzione ed anche il re del Portogallo sciolse l’ordine, o meglio lo rifondò con il nome di Ordine di Cristo, al servizio della corona. Tutt’ora il presidente del Portogallo è il Gran Maestro dell’ordine.
Le antiche rovine scolpite nella roccia sono state via via modificate nei secoli, con stili diversi, ma quello preponderante resta lo stile manuelino, un carattere distintivo del Paese. Ideato tra la fine del ‘400 e i primi decenni del ‘500, rispecchia lo spirito dell’epoca: un forte ottimismo, una fiorente ricchezza, voglia di guardare e spingersi oltre; Vasco de Gama salpava verso nuovi orizzonti e le sue scoperte portarono fama, gloria e voglia di infinite avventure. Allo stesso modo questo stile è originale, brillante, creativo, ricco di dettagli: temi marinareschi s’intrecciano con fiori; conchiglie si alternano alla croce dei templari; tutto è intarsiato con girigogoli e decorazioni dal sapore arabeggiante.
Spingendosi ancora più a nord, il profumo del pesce alla griglia ti accoglie insistente a Nazarè; per le strade i ristoranti sono affollati di portoghesi che gustano sugose vongole, cotte con tanto aglio e prezzemolo, o sardine e baccalà grigliati. L’odore è così fragrante che stuzzica davvero l’anima e l’appetito e in un batter d’occhio ti ritrovi a gustare un’infinita caldeirada de marisco, uno stufato di pesce e riso, vellutato, intenso, al tempo stesso delicato e con un tocco esotico, dato dall’aroma di lemon grass. Impossibile resistere, ma d’altronde viaggiare significa anche farsi stregare e catturare dai profumi locali.
Ultima meta prima di Porto è Coimbra, per incontrare gli studenti universitari che scivolano velocemente nel labirinto di vicoli, indossando le tradizionali toghe e cappe nere. Fondata dai romani, cresciuta sotto i mori e liberata nel 1046 dai cristiani, la città ha un aspetto vivace e sorridente, con il sole che si riflette nelle placide acque del Rio Mondego. E’ celebre per la sua università, una delle più antiche d’Europa ed entrando nell’illustre Biblioteca Joanina ti ritrovi proprio in una scena del film Harry Potter: 72 scaffali custodiscono ben 60000 volumi in pelle bordeaux o verde scuro, quasi tutti anteriori al XVIII secolo, scritti per lo più in latino. Un tempio di cultura, messa al sicuro dalle tarme e dai pipistrelli, di cui si può udire lo squittio.
Infine, ecco la scanzonata Porto, per alcuni romantica, per altri festosa. La città che ha dato il nome alla nazione si trova nella regione del Douro, famosa in tutto il mondo per le sue uve, da cui proviene il “nettare denso e dolce”, il Porto.
E’ proprio il Rio Douro a segnare il cuore del centro cittadino: da un lato le pittoresche case colorate, strette e lunghe; dall’altro, a Vila Nova de Gaia, le cantine vinicole fanno a gara a chi ha l’insegna più grande e luminosa. Di fronte ondeggiano i barcos rabelos, le barche tradizionali usate per trasportare il vino lungo il fiume, dalla forma simile a grosse gondole. La luna piena si specchia nel Douro, riempiendo di luce il lungo ponte in ferro Dom Luis I, progettato da un allievo di Gustave Eiffel. Con i suoi edifici medievali, svettanti campanili, arzigogolate chiese barocche e maestosi palazzi beaux-arts, sembra proprio una città delle fiabe, sorvolata da eleganti gabbiani.
Il viaggio in dietro nel tempo non si ferma qui: prossima tappa Evora, nel cuore della rurale terra dell’Alentejo. Racchiusa tra possenti mura si nasconde una graziosa cittadina: per le vie anziani e fieri abitanti, col basco in testa ed una camicetta a quadri; le signore siedono di fronte alla porta di casa a filare centrini all’uncinetto. Anche la cucina è più rustica: ensopado de borrego, un saporito stufato di agnello accompagnato da pane di mais e “annaffiato” da un corposo e fruttato vino rosso della regione.
Ma è poco fuori dalle mura che si trova un luogo mistico, pieno di interrogativi: Cromeleques dos Almendres. In un bosco di maestosi alberi di sughero, come vecchi saggi messi a guardia di un terreno sacro, si apre una spianata con 95 menhir, gigantesche pietre granitiche, alte 2-3 m, disposte a formare un ovale, risalenti al Neolitico. Forse un luogo di culto? Vi si svolgevano riti legati alla fertilità? L’archeologia moderna è abbastanza concorde nell’affermare che fossero delle rudimentali statue dedicate alla figura umana. Un buon posto per sentirsi fuori dal tempo.
Cambiamo decisamente atmosfera e percorrendo tutta la panoramica N122, su e giù per le valli brulle, o tappezzate di pini e poi ancora eucalipti a perdita d’occhio, eccoci nell’Algarve.
I castelli lasciano il posto a candide case imbiancate a calce; le viti divengono bouganville fuxia; l’aria si riempie dell’odore del mare e il panorama si apre a lunghe distese di sabbia. L’acqua del mare è molto fredda, tra i 14° C. e i 16° C., ma le spiagge sono animate e le cittadine, come Faro, piene di vita, musica, festa.
Nella città vecchia, i ristoranti preparano la tipica Cataplana: il cameriere porta in tavola una grossa pentola di rame, dalla forma di un disco volante; l’intenso aroma fa salire l’acquolina in bocca e annuncia un tripudio di pesce, con aragosta e tanti molluschi, in un succulento brodo di peperoni e altre verdure. Deliziosa!
Salutiamo il Portogallo da Cabo de São Vicente, l’estremità sud-occidentale dell’Europa. Già venerato dai fenici, poi chiamato Promontorium Sacrum dai romani, deve il suo nome attuale ad un sacerdote spagnolo che fu martirizzato dai romani. Si dice che mentre ardeva vivo continuò a lodare Dio con tale convinzione da indurre alla conversione alcuni dei suoi aguzzini. Le sue spoglie furono portate qui su una barca scortata da corvi. Al tramonto, quando sembra che il sole scompaia nell’Oceano, inaspettatamente placido, guardando l’orizzonte con il vento fresco in faccia, in cima alla scogliera a strapiombo, riesci ad immaginare il brivido degli impavidi marinai che partivano alla ricerca di nuove terre.
Questo è il Portogallo; un Paese in cui viaggiare nel tempo, perdendosi tra sapori passati e presenti, riempiendosi gli occhi di paesaggi infiniti, sempre molto variegati e suggestivi. Una terra ricca di emozioni che riaffiorano all’orizzonte nel mare, tra i bastioni in cima a un promontorio, o nelle malinconiche note del Fado per le vie di Lisbona.
(Camilla Mori)