Nel clima mite del Mar Nero, quasi mediterraneo, la coltivazione della vite risale addirittura a 6.000 anni fa, testimoniata dal ritrovamento di un attrezzo agricolo, risalente al 3° millenio A.C., tuttora gelosamente conservato nel Museo Nazionale della Georgia. Alcuni studiosi sostengono che la parola “vino” derivi dal georgiano “gvino”, che da sempre riveste un ruolo centrale nell’ospitalità e nella cultura georgiana, citato già da Omero nell’Odissea dove narra di vini profumati e frizzanti della Colchide (oggi Georgia occidentale) e da Apollonio Rodio che, nelle “Argonautiche”, racconta la scoperta degli Argonauti di una fontana stillante vino nel palazzo di Aieti (in Colchide).
Kakheti (52% dei vigneti), Imereti (22%) e Racha-Lechkumi (4-5%) le regioni a maggiore vocazione agricola. Oltre 400 le varietà d’uva dalle quali si ricavano i più blasonati vini georgiani: “Mukhuzani”, amarognolo, dal gusto piacevole; “Tetra”, amarognolo e lievemente paglierino; “Teliani”, rubino e lievemente ambrato; “Manavis”, frizzante e dolce; “Kindzmarauli”, con retrogusto di miele; “Tibaani”, dal gusto fruttato e, infine, “Khvanchkara”, ambrato e vellutato. Ancora oggi nelle case viene prodotto vino per autoconsumo, secondo antichissime ricette, all’interno del “kvevri” (letteralmente “anfora”), un ampio contenitore di terracotta ovale, modellato a mano senza usare il tornio da vasaio e cotto, dopo l’asciugatura, in speciali forni di ceramica. Interrato all’interno di cantine in muratura (“marani”) dalla quale sporge un collo viene successivamente sigillato da piastrelle di pietra, per circa 4 mesi con il liquido ed i pressati d’uva. Attiguo ai marani e ai chur-marani si trova il locale della pigiatura, chiamato satsnakheli (come il tradizionale torchio georgiano). Kvevri, il metodo tradizionale di vinificazione georgiano nelle anfore, dal 4 dicembre 2013, è stato inserito nei Patrimoni dell’Umanità Unesco nel corso dell’8a sessione del Comitato Intergovernativo per la Protezione del Patrimonio a Baku, in Azerbaijan.
Info www.georgia.travel, www.viaggilevi.com
Nel Caucaso alla ricerca del vello d’oro
Incuneata fra il Mar Nero e il Mar Caspio, crocevia dei traffici commerciali fra Occidente ed Oriente lungo la Via della Seta, la Georgia ha subito infinite invasioni, ognuna delle quali ha lasciato tracce indelebili nella cultura, nell’arte e nella letteratura, ancora visibili ai giorni nostri. Quando per i greci era Colchide, la mitica terra del vello d’oro rapito da Giasone e dagli Argonauti, la Georgia fu la seconda nazione nel mondo, dopo l’Armenia, ad accogliere il Cristianesimo, che nel 337 divenne religione di stato, autonoma dal Patriarcato di Antiochia.
Terra selvaggia dai forti contrasti lungo la Grande Strada Militare Georgiana, incastonata fra due catene montuose, il Grande Caucaso a nord e il Piccolo Caucaso a sud, dove aquile e avvoltoi sfiorano torri di guardia, antiche fortezze e monasteri rupestri lungo sentieri solitari dove, ancora oggi, nelle zone montuose della Colchide, sulle sponde orientali del Mar Nero, s’incontrano lungo la strada pastori-cercatori d’oro seminomadi, che utilizzano un setaccio ricavato principalmente dal vello di ariete, nelle cui fibre si incastrano le pagliuzze di oro.
Da Mtskheta, l’antica capitale del Regno di Georgia dove nacque il Cristianesimo, con la chiesa di Jvari e la Cattedrale di Svetitskhoveli, entrambe inserite nel Patrimonio mondiale dell’Unesco, a Sighnaghi, la perla del Kakheti fino a Davit Gareja, lo stupefacente monastero ortodosso georgiano scavato nella roccia al confine con l’Azerbaijan, Uplistsikhe, la Città Scavata nella Roccia dove le tracce delle carovane sono conservate ancora lungo le colline fino a Svaneti, la regione montuosa Patrimonio dell’Unesco paradiso del trekking, disseminata da villaggi dove il tempo sembra essersi fermato. Fino a Gori, città natale di Josif Stalin con la fortezza scavata nella roccia, e a Ushguli (2200), località abitata più alta d’Europa, dichiarata Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco grazie alle oltre venti torri svan ancora visibili.
Se l’ultima eruzione del Monte Kazbegi (5047m), il secondo vulcano più elevato del Caucaso, è collocabile attorno al 750 a.C, la Georgia, amata da Puskin e Dumas, la terra natia di Shevardnadze, protagonista della Perestroika, il presidente georgiano fra gli artefici delle riforme gorbacioviane che portarono alla fine della Guerra fredda e al crollo dell’Unione Sovietica, guarda al futuro. Passato e futuro s’intrecciano nei vicoli di Tbilisi, la capitale attraversata dal fiume Mtkvari, dove differenti religioni, diversità e ricchezza al tempo stesso, si sfiorano senza scalfirsi, ogni giorno, nell’unica moschea ancora esistente (risalente al 1864), nel tempio zoroastriano e nelle chiese.
(Laura Colognesi)