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Matera e l’arte del pane: la proposta dei Viaggi di Boscolo

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Prima di giungere a Matera, la famosa città dei Sassi, lasciatevi conquistare dalle tante bellezze della sua provincia. Tra queste spicca la cittadina di Montescaglioso, un importante centro storico e culturale, dove ammirare l’Abbazia benedettina di San Michele Arcangelo e il Parco delle Chiese Rupestri; da vedere anche il Villaggio neolitico di Murgia Timone, per visitare antichi luoghi di culto e godere di un’impareggiabile vista dal belvedere.

Arrivati a Matera, per cena potete provare il 900 Restaurant, che propone prodotti tipici lucani e rivisita i piatti della tradizione con gusto innovativo. Fiore all’occhiello della gastronomia locale, il pane di Matera è apprezzato per il suo gusto genuino e per l’inconfondibile profumo. Nel migliore forno di Matera, l’esperienza per voi prenotata e inclusa, vi farà scoprire le antiche tecniche per la preparazione di pane e focacce, che potrete poi degustare appena sfornate e accompagnate da un buon bicchiere di vino. Nel pomeriggio vi suggeriamo di visitare il Piano, il nucleo abitato sopra i Sassi, e la Civita, cioè lo sperone di roccia che si estende tra i due complessi di Sassi. Per cena potete assaggiare la cucina casereccia del ristorante Stano, che propone i prodotti tipici del territorio. Per concludere la vostra vacanza in Basilicata nel migliore dei modi, vi consigliamo di dedicare la mattina alla scoperta delle cisterne che per secoli hanno provveduto al fabbisogno idrico della città. Tra queste spicca il Palombaro Lungo, ossia la più grande cisterna custodita nella città di Matera: interamente scavata a mano, è stata utilizzata fino alla fine del secolo scorso. Nel raggiungerla, scoprirete vie punteggiate di botteghe artigianali nelle quali si realizzano il cucù, il fischietto benaugurante simbolo di Matera, e le pupe dipinte a mano, ottimi souvenir da portare con sé.

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PALAZZO PUCCI RICONSEGNA ALLA CITTÀ IL SALONE DELLE FESTE

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Dopo circa quarant’anni riaprono a Firenze, a due passi dal Duomo, le sale riccamente affrescate dello storico palazzo di via de’ Pucci. L’ala che fa angolo con via de’ Servi, di proprietà dell’Arcidiocesi di Firenze, è stata interessata negli ultimi cinque anni da un accurato restauro,
reso possibile grazie alla collaborazione con la Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze. Con la nuova gestione da parte di PALAZZO PUCCI EVENTS&ACADEMY, neonata realtà per
l’organizzazione di eventi a Firenze, il Salone restaurato, che ha accolto in passato anche un cinema per ragazzi, torna a risplendere. Un nuovo indirizzo a cui fare riferimento anche per corsi di formazione di alto artigianato, moda e arte orafa.
Dopo un importante restauro durato cinque anni e dopo essere state chiuse per circa quarant’anni, alcune delle più preziose sale di Palazzo Pucci vengono finalmente restituite alla città. Firenze può così vedere nel loro splendore luoghi che per tanti anni hanno accolto  l’associazionismo e la stampa cattolica. Palazzo Pucci è stato per decenni sede di Toscana Oggi, organo di informazione della Diocesi, al quale è stato assegnato un posto adeguato nel cuore della città. È tuttora sede di Radio Toscana e Radio Firenze. Forse non tutti
sanno che il “Salone di Apollo” – così è stato denominato l’antico Salone delle Feste – fino a quaranta anni fa ospitava il cinema “ABC dei ragazzi”, che è stato a lungo punto di riferimento per le famiglie fiorentine, e che nello stesso palazzo si trovano la Caritas Diocesana, l’Agesci e il Ceis-Centro di Solidarietà Firenze Onlus.
Con il recupero di questi spazi nasce a Firenze la PALAZZO PUCCI EVENTS&ACADEMY, una nuova realtà costituita da affermati professionisti del settore e dalla Fondazione Spazio Reale, che ha l’onere di farsi carico dell’organizzazione e della gestione di eventi non solo a Palazzo Pucci, ma anche a Spazio Reale, centro congressuale multifunzionale di 25.000 mq con vocazione formativa, sportiva e ristorativa a Firenze Nord.
L’edificio di via de’ Pucci 2 ha una storia importante, testimoniata dalle preziose opere artistiche di cui è ricco. Il primo nucleo risale al 1480, quando Antonio Pucci acquistò in questa zona case ed orti.
Successivamente vi furono ampliamenti e interventi architettonici eseguiti da illustri architetti e artisti quali Giovanni da San Giovanni, Jacopo Chiavistelli e Giovanni Domenico Ferretti. Nel 1901 viene dichiarato patrimonio artistico nazionale dalla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti.
Ciò che rende famoso il palazzo, oltre al fascino dei grandi saloni grazie ad affreschi, tele, sculture di pregio, è la vicenda criminosa di cui la finestra murata al piano terra, all’angolo con via dei Servi, resta testimone:
la “congiura dei Pucci”. La famiglia Pucci fu alleata dei Medici per lungo tempo, almeno fino al 1559, quando Pandolfo Pucci incarica due sicari di colpire il Granduca Cosimo I proprio dalla finestra del palazzo, mentre si recava in corteo alle celebrazioni religiose nella Basilica in piazza della Santissima Annunziata.
Scoperto, viene impiccato insieme ai suoi complici e la finestra da cui si appostarono i sicari murata per sempre, a ricordo dell’evento e per punizione della famiglia.
Situato nel cuore del centro storico di Firenze, a pochi passi dal Duomo, Palazzo Pucci, che dà il nome all’omonima via, è oggi diviso in due porzioni: una di proprietà della famiglia Pucci, l’altra di proprietà
dell’Arcidiocesi, che ha condotto i lavori di restauro anche con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze.

Riportate allo splendore originario, le due sale, il “Salone di Apollo” e la “Sala di Paride”, riccamente decorate e affrescate sono situate al piano nobile dell’edificio, a cui si accede tramite lo scalone
monumentale e l’atrio, e sono oggi pronte ad ospitare conferenze, convegni, eventi, concerti, cene e feste di nozze. Il Salone di Apollo può accogliere fino a 180 persone sedute, mentre la Sala di Paride ha una capienza di 90 posti a sedere. L’ampia corte al piano terreno consente di realizzare allestimenti particolari e di accogliere in una cornice suggestiva servizi di catering.
La riapertura di quest’ala di Palazzo Pucci consente, grazie alla collaborazione tra le due importanti istituzioni della città, di poter contare su un nuovo spazio di incontro che, oltre a valorizzare uno scrigno poco conosciuto, contribuisce ad una ulteriore valorizzazione del centro della città ed in particolare di una zona storica, che ospita l’Ospedale di Santa Maria Nuova e il Teatro Nazionale della Pergola, uno dei teatri all’italiana più antichi al mondo.

www.palazzopuccieventi.it/palazzo-pucci/

Gustose nozze pugliesi!

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Mercoledì  20 settembre si sono celebrate le nozze del giornalista enogastronomico fiorentino Marco Marucelli con la chef Teresa Colia, nella splendida cornice di Villa Nymphaeum di Andria.

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E’ stata scelta la Puglia, regione natale della sposa, con i suoi colori ed i suoi sapori per celebrare e festeggiare le nozze di uno dei più famosi critici enogastronomici italiani, il giornalista fiorentino Marco Marucelli. Un matrimonio certamente gustoso quello tra chi di cibo e di prodotti tipici fa il suo pane quotidiano ed una delle cuoche emergenti del panorama gastronomico toscano, seppur nativa proprio di Andria. Una location di eccellenza quella di Villa Nymphaeum che, non solo, ma anche per l’occasione, si è dimostrata più che all’altezza della situazione. Sia per la parte organizzativa della celebrazione del rito del matrimonio che per l’accoglienza degli ospiti e la realizzazione della cena dei festeggiamenti.

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Impegno, quello della brigata di cucina, guidata dall’esperto chef Giuseppe Lacriola, messo a dura prova dalla tipologia di ospiti, che hanno apprezzato sia il menù concordato, che la sorpresa a loro riservata da parte della cucina.

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Il menù proposto, dopo una gustosa parata di stuzzichini serviti nel patio della sala Country Chic, l’ultima realizzata dalla famiglia Fucci, è stato di grandissima qualità e ben rappresentativo sia del territorio che della festa che doveva arricchire.

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Gli antipasti sono stati aperti dalla creazione dello chef,  offerta agli sposi quale gesto di benvenuto, che è stato un bocconcino di storione dorato al pancock alla curcuma su crema di provola affumicata, cipolla di Tropea marinata e porri. Un piatto da leccarsi letteralmente i baffi. A seguire le pepite di bianco latte da “l’Angolo del Casaro”, i freschissimi frutti di mare da “l’Isola dell’Ostricaro”,  il prosciutto di Praga al taglio in salsa Madeira e le delicatezze del norcino in affettatrice d’epoca Berkel. Hanno fatto poi la loro gustosa apparizione il polpo verace scottato al vapore su crema di finocchietto con crostini dorati e dadolata di pecorino coratino ed a seguire il carpaccio di bisonte del Nebraska al vecchio balsamico di Modena con lamelle di mandorla.  Per i primi le scelte sono andate prima su un delizioso sartù di riso selezione “parboiled” mantecato con zucchine e lime dei Caraibi al ragù di cicale greche. Al piatto, apprezzato dai commensali  sono seguiti dei tortelli di grano biondo in farcia di caprino e noci su coulis di pomodoro delicato e confettura di cipolla di Tropea.

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Il secondo proposto è stato il lingotto di ombrina “Bocca d’Oro” di Orbetello,  al guazzetto di zafferano con coriandoli di verdurine.

Prima della freschissima frutta è stato servito il “Calvados normanno” che ha aperto la strada del gusto per il ricco buffet di dolci e la torta nuziale realizzata dalla pasticceria di Villa Nympheum.

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Ogni portata è stata abbinata ai grandi vini italiani selezionati per l’occasione dallo sposo che hanno spaziato dal Greco di Tufo di Sertura al Prosecco di Valdobbiadene Extra Dry di Bortolin, dal viognier piemontese Calypsos di Montalbera al vermentino nero vinificato in rosato del Mea Rosas di Cantine Lunae, per giungere alla selezione di ben sei aziende di primitivo di Manduria che hanno accompagnato il lingotto di ombrina in maniera eccezionale. Ai dolci, soprattutto quelli a base di cioccolato l’abbinamento è stato indirizzato al Ruchè di Castagnole Monferrato Laccento di Montalbera a cui si ispirava anche il nome del vitigno del tavolo nuziale. La scenografia infatti, realizzata dall’efficiente organizzazione della sala ricevimenti, ha evidenziato le uve e i vitigni dei vini proposti durante la serata a cui si sono ispirati i nomi di ogni tavolo degli ospiti.

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Una location di gran classe, un servizio impeccabile, una qualità enogastronomica d’eccellenza  sono stati il biglietto di augurio per questa coppia del gusto che è riuscita a coniugare ed a coniugarsi con i ricchi sapori della terra di Puglia.

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Si preannuncia un’ottima annata per il Primitivo di Manduria, carica di grado, corposità e struttura

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Temperatura alte, lussureggiamento vegetativo, ottima formazione del grappolo con un anticipo di invaiatura. La vendemmia, stante l’attuale andamento climatico, si prevede anticipata di una settimana rispetto all’anno scorso.

Si preannuncia un’ottima annata per il Primitivo di Manduria, tutta da degustare, carica di grado zuccherino; un 2017 da scrivere negli annuari agronomici oltre che enologici.

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La vendemmia, stante l’attuale andamento climatico caratterizzato da giornate di sole e alte temperature, si prevede anticipata di una settimana rispetto all’anno scorso.

Sono queste le primissime anticipazioni fornite dal Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria, l’ente che vigila e promuove la grande doc pugliese più esportata all’estero e simbolo del made in Italy.

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Siamo fiduciosi e contenti per lo stato attuale dei nostri vigneti che ovunque si presentano con abbondanti esuberi fogliari. Le temperature in aumento hanno generato un lussureggiamento vegetativo che porterà un’alta gradazione. – dichiara soddisfatto Roberto Erario, presidente del ConsorzioAbbiamo avuto un inverno poco piovoso e molto freddo caratterizzato da eventi nevosi. Le temperature basse e la presenza di neve sul suolo e sulle piante hanno avuto un effetto sterilizzante sull’ambiente viticolo e hanno devitalizzato le fonti di inoculo che generano malattie. Nel complesso non ci sono state condizioni climatiche che hanno provocato infezioni e quelle lievi sono state controllate facilmente.

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Anche se il germogliamento ad aprile ha subito ritardo, successivamente il primitivo ha recuperato alla grande perché le temperature hanno iniziato ad aumentare. A maggio si sono infatti registrati 20 gradi e, anche se si sono verificati eventi piovosi nella fase di prefioritura, la probabilità di infezioni primarie non si sono realizzate perché l’elevata ventosità in seguito alla pioggia, ha asciugato la biomassa fogliare.

A giugno il vigneto è stato caratterizzato dall’allegagione (passaggio da fiore a frutto), abbiamo avuto una importante formazione del grappolo e un ingrossamento degli acini. Le temperature medie hanno superato i 25 gradi anche con forte ventosità. Ricordo che l’areale di produzione del Primitivo di Manduria riguarda anche i comuni vicino al mare e le brezze marine hanno dato un contributo utilissimo nella formazione dei composti aromatici.

La vite tra maggio e giugno ha iniziato a correre, abbiamo avuto anche crescite giornaliere di 3 cm e quest’anno si sta notando una vegetazione più rigogliosa rispetto all’anno precedente. Questo è indice di qualità perché più foglie ci sono, maggiore è la capacità fotosintetica della pianta e quindi più numerosi saranno i fotosintetati e gli elaborati che andranno a costruire il grappolo, elaborati che verranno poi trasformati in zuccheri.

Attualmente stiamo assistendo ad un aumento esponenziale delle temperature con soglie di 33 – 35 gradi che ha permesso uno sviluppo rigoglioso della pianta. Ora ci troviamo nella fase di invaiatura, cioè l’inizio della maturazione dei frutti, contraddistinto da un cambiamento di colore, ovvero l’acino dal verde diventa rosso rubino.

Insomma, questa annata sarà contraddistinta da un elevato grado zuccherino che darà un prodotto corposo, di struttura e dal profilo aromatico e polifenolico eccezionale, tipica espressione del Primitivo nell’area doc”.

PORTOGALLO: UN VIAGGIO NEL TEMPO!

Partiti! Stavolta, senza passaporto, né assicurazione sanitaria e niente volo di dodici ore. Meta piuttosto vicina a casa: il Portogallo.

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Una sorpresa dietro l’angolo, si può dire. Un paese dal cielo azzurro intenso, verdi colline ricoperte di viti o di rugose querce da sughero, il cui tronco sembra sanguinare quando viene “sbucciato”.

Estesa sui ripidi pendii dei colli che declinano sul Rio Tejo, Lisbona, melanconica e romantica, ti affascina, con i suoi miradouri, da cui osservare magici scorci, sferzati dal vento; il sole è caldo, ma l’aria è fresca. Su e giù sul tram 28, tra brusche frenate e salite arroccate, puoi passare in rassegna tutti i tesori della città: la medievale Sé, l’imponente Praça do Commércio, la più grande d’Europa, lo splendente Panteão Nacional, con la sua cupola bianca come la porcellana.

Per le strade dell’Alfama, il cuore moresco della città, proprio al di sotto di ciò che resta del Castelo de São Jorge, tra le botteghe, i piccoli bistrot, le case ricoperte dei tipici azulejos (piastrelle di ceramica, decorate di celeste), risuona il canto nostalgico del Fado: struggenti melodie, suonate da chitarre a dodici corde e accompagnate da una voce che racconta storie di separazioni dolorose e svolte del destino, di amori distanti, di un ardente desiderio di tornare a casa. Nessuno conosce le sue origini, ma sono ben evidente le influenze dei ritmi brasiliani, dei canti moreschi e delle canzoni dei trovatori provenzali. Sicuramente rispecchia l’emozione che più contraddistingue l’animo portoghese, di un popolo di viaggiatori ed esploratori prima, di migranti poi: la Saudade. E’ il desiderio nostalgico, spesso profondamente malinconico, di qualcosa che si ama molto, che si rimpiange, che si è lasciato, a cui si vorrebbe fare ritorno.

On the road, sulla costa atlantica in direzione Porto, tappa obbligatoria è Sintra. I celti vi adoravano la luna, i mori l’hanno fortificata, i reali borghesi nel ‘700 l’hanno adornata, ecco il primo gioiello medievale del Portogallo. Sì perché un viaggio in Portogallo è anche un’avventura indietro nel tempo, al riparo di possenti mura merlate e svettanti bastioni come quelli del Castelo dos Mouros, che dall’alto protegge l’antico villaggio. Ortensie selvatiche, felci, il profumo della macchia mediterranea che si mescola a quello di querce e pini, giganti rocce granitiche, levigate dagli anni e dal vento; un posto mistico, selvaggio, pieno di storia.

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Se sei fortunato, poi, puoi giungere in un piccolo villaggio, animato da una festa medievale; un vero tuffo nel passato. Sorseggiando gingjinha, un forte liquore alla ciliegia, servito in bicchierini di cioccolato, ti perdi tra i viottoli nelle mura del castello, attratto dalla musica di menestrelli, divertito dai buffoni e stregato dalla bellezza dei costumi delle dame.

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Melodie d’altri tempi, allegre e scanzonate, si mescolano al forte odore di maialino allo spiedo e fiumi di idromele accompagnano il calar del sole che tinge di rosso i bastioni di Obidos.

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Scivolando tra i meleti ed i filari di pere, addentrandosi nella regione dell’Estremadura, ecco il magnifico Mosteiro de Santa Maria da Alcobaça. Fondato nel 1153 da Dom Alfonso Henriques, il primo re del Portogallo, cela il segreto di una struggente storia d’amore. Entrando si assapora l’imponenza dell’ambizione gotica, con un’austera navata lunga ben 106 m., stretta 23 m. e troneggiata solo da candide colonne tronche; ai lati dell’altare riposano Dom Pedro e Dona Inês de Castro. Leggenda vuole che Dom Pedro, figlio del re Dom Alfonso IV, s’innamorò della dama di corte di sua moglie. Il re, non solo ostacolò il loro amore anche dopo la morte della principessa, ma addirittura ordinò l’assassinio di Inês. Dom Pedro, salito al trono, si vendicò strappando e mangiando il cuore degli assassini. Riesumò e incoronò il corpo dell’amata e ordinò alla corte di rendere omaggio alla defunta regina, baciando la sua mano in decomposizione. Ora riposano uno di fronte all’altra, cosicché quando verrà il giorno potranno alzarsi e guardarsi dritto negli occhi.

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Passeggiando nel monastero a fianco della chiesa, sembra proprio di stare tra le pagine del celebre romanzo “Il nome della rosa” di U. Eco: una grandiosa cucina pronta a sfamare fino a 999 monaci, descritta dagli storici dell’epoca come “il più raffinato tempio della gola di tutta Europa”, servita persino da un canale d’acqua perché il pesce arrivasse ai cuochi ancora vivo; il refettorio con soffitto a volta, a cui si accedeva tramite una stretta porta, in modo che chi non riusciva a passare perché troppo grasso era costretto a digiunare; infine, un enorme dormitorio, con piccole finestrelle.

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Non molto distante, nel verde della valle di Tomar, si erge il Convento de Cristo, un altro luogo intriso di storia. Era il quartier generale dei templari, il leggendario ordine semi-religioso fondato nel 1119 da cavalieri crociati francesi per proteggere i pellegrini in Terra Santa. Facevano voto di castità e povertà e indossavano un mantello color avorio decorato solo da una croce rossa, un simbolo che in seguito fu associato al Portogallo stesso. Qui infatti svolsero un ruolo importante nella cacciata dei mori e divennero potenti grazie alle terre ottenute come ricompensa. Il re di Francia, nel XIV secolo, intimorito dalla loro potenza, iniziò un periodo di persecuzione ed anche il re del Portogallo sciolse l’ordine, o meglio lo rifondò con il nome di Ordine di Cristo, al servizio della corona. Tutt’ora il presidente del Portogallo è il Gran Maestro dell’ordine.

Le antiche rovine scolpite nella roccia sono state via via modificate nei secoli, con stili diversi, ma quello preponderante resta lo stile manuelino, un carattere distintivo del Paese. Ideato tra la fine del ‘400 e i primi decenni del ‘500, rispecchia lo spirito dell’epoca: un forte ottimismo, una fiorente ricchezza, voglia di guardare e spingersi oltre; Vasco de Gama salpava verso nuovi orizzonti e le sue scoperte portarono fama, gloria e voglia di infinite avventure. Allo stesso modo questo stile è originale, brillante, creativo, ricco di dettagli: temi marinareschi s’intrecciano con fiori; conchiglie si alternano alla croce dei templari; tutto è intarsiato con girigogoli e decorazioni dal sapore arabeggiante.

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Spingendosi ancora più a nord, il profumo del pesce alla griglia ti accoglie insistente a Nazarè; per le strade i ristoranti sono affollati di portoghesi che gustano sugose vongole, cotte con tanto aglio e prezzemolo, o sardine e baccalà grigliati. L’odore è così fragrante che stuzzica davvero l’anima e l’appetito e in un batter d’occhio ti ritrovi a gustare un’infinita caldeirada de marisco, uno stufato di pesce e riso, vellutato, intenso, al tempo stesso delicato e con un tocco esotico, dato dall’aroma di lemon grass. Impossibile resistere, ma d’altronde viaggiare significa anche farsi stregare e catturare dai profumi locali.

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Ultima meta prima di Porto è Coimbra, per incontrare gli studenti universitari che scivolano velocemente nel labirinto di vicoli, indossando le tradizionali toghe e cappe nere. Fondata dai romani, cresciuta sotto i mori e liberata nel 1046 dai cristiani, la città ha un aspetto vivace e sorridente, con il sole che si riflette nelle placide acque del Rio Mondego. E’ celebre per la sua università, una delle più antiche d’Europa ed entrando nell’illustre Biblioteca Joanina ti ritrovi proprio in una scena del film Harry Potter: 72 scaffali custodiscono ben 60000 volumi in pelle bordeaux o verde scuro, quasi tutti anteriori al XVIII secolo, scritti per lo più in latino. Un tempio di cultura, messa al sicuro dalle tarme e dai pipistrelli, di cui si può udire lo squittio.

Infine, ecco la scanzonata Porto, per alcuni romantica, per altri festosa. La città che ha dato il nome alla nazione si trova nella regione del Douro, famosa in tutto il mondo per le sue uve, da cui proviene il “nettare denso e dolce”, il Porto.

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E’ proprio il Rio Douro a segnare il cuore del centro cittadino: da un lato le pittoresche case colorate, strette e lunghe; dall’altro, a Vila Nova de Gaia, le cantine vinicole fanno a gara a chi ha l’insegna più grande e luminosa. Di fronte ondeggiano i barcos rabelos, le barche tradizionali usate per trasportare il vino lungo il fiume, dalla forma simile a grosse gondole. La luna piena si specchia nel Douro, riempiendo di luce il lungo ponte in ferro Dom Luis I, progettato da un allievo di Gustave Eiffel. Con i suoi edifici medievali, svettanti campanili, arzigogolate chiese barocche e maestosi palazzi beaux-arts, sembra proprio una città delle fiabe, sorvolata da eleganti gabbiani.

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Il viaggio in dietro nel tempo non si ferma qui: prossima tappa Evora, nel cuore della rurale terra dell’Alentejo. Racchiusa tra possenti mura si nasconde una graziosa cittadina: per le vie anziani e fieri abitanti, col basco in testa ed una camicetta a quadri; le signore siedono di fronte alla porta di casa a filare centrini all’uncinetto. Anche la cucina è più rustica: ensopado de borrego, un saporito stufato di agnello accompagnato da pane di mais e “annaffiato” da un corposo e fruttato vino rosso della regione.

Ma è poco fuori dalle mura che si trova un luogo mistico, pieno di interrogativi: Cromeleques dos Almendres. In un bosco di maestosi alberi di sughero, come vecchi saggi messi a guardia di un terreno sacro, si apre una spianata con 95 menhir, gigantesche pietre granitiche, alte 2-3 m, disposte a formare un ovale, risalenti al Neolitico. Forse un luogo di culto? Vi si svolgevano riti legati alla fertilità? L’archeologia moderna è abbastanza concorde nell’affermare che fossero delle rudimentali statue dedicate alla figura umana. Un buon posto per sentirsi fuori dal tempo.

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Cambiamo decisamente atmosfera e percorrendo tutta la panoramica N122, su e giù per le valli brulle, o tappezzate di pini e poi ancora eucalipti a perdita d’occhio, eccoci nell’Algarve.

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I castelli lasciano il posto a candide case imbiancate a calce; le viti divengono bouganville fuxia; l’aria si riempie dell’odore del mare e il panorama si apre a lunghe distese di sabbia. L’acqua del mare è molto fredda, tra i 14° C. e i 16° C., ma le spiagge sono animate e le cittadine, come Faro, piene di vita, musica, festa.

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Nella città vecchia, i ristoranti preparano la tipica Cataplana: il cameriere porta in tavola una grossa pentola di rame, dalla forma di un disco volante; l’intenso aroma fa salire l’acquolina in bocca e annuncia un tripudio di pesce, con aragosta e tanti molluschi, in un succulento brodo di peperoni e altre verdure. Deliziosa!

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Salutiamo il Portogallo da Cabo de São Vicente, l’estremità sud-occidentale dell’Europa. Già venerato dai fenici, poi chiamato Promontorium Sacrum dai romani, deve il suo nome attuale ad un sacerdote spagnolo che fu martirizzato dai romani. Si dice che mentre ardeva vivo continuò a lodare Dio con tale convinzione da indurre alla conversione alcuni dei suoi aguzzini. Le sue spoglie furono portate qui su una barca scortata da corvi. Al tramonto, quando sembra che il sole scompaia nell’Oceano, inaspettatamente placido, guardando l’orizzonte con il vento fresco in faccia, in cima alla scogliera a strapiombo, riesci ad immaginare il brivido degli impavidi marinai che partivano alla ricerca di nuove terre.

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Questo è il Portogallo; un Paese in cui viaggiare nel tempo, perdendosi tra sapori passati e presenti, riempiendosi gli occhi di paesaggi infiniti, sempre molto variegati e suggestivi. Una terra ricca di emozioni che riaffiorano all’orizzonte nel mare, tra i bastioni in cima a un promontorio, o nelle malinconiche note del Fado per le vie di Lisbona.

(Camilla Mori)

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MONTALBERA PORTA IL RUCHÈ A COLLISIONI PROGETTO VINO 2017

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Dal 14 al 17 luglio 2017 torna a Barolo il “Progetto Vino”, ideato dal giornalista e direttore scientifico di Vinitaly Ian D’Agata nell’ambito del Festival Agrirock “Collisioni”, considerato dai media nazionali e internazionali l’evento più innovativo negli ultimi dieci anni in Italia. Anche quest’anno il “Progetto Vino” comprende degustazioni e incontri dedicati alle etichette e alle denominazioni e brevi seminari rivolti a critici e importatori provenienti da tutto il mondo. Un progetto ambizioso che lo scorso anno ha ospitato oltre 70 esperti da 11 Paesi del mondo per un totale di oltre 60 eventi tra degustazioni, incontri con i produttori e visite in azienda.

Montalbera partecipa con il Consorzio di promozione I Vini del Piemonte al seminario di degustazione organizzato con Ian D’Agata e il team di Collisioni, una vetrina importante per far conoscere i suoi RuchèLa Tradizione, Laccento e Limpronta – a critici del settore e giornalisti di tutto il mondo.

L’azienda è inoltre presente durante la manifestazione Collisioni Agrirock dal 14 al 18 Luglio all’interno degli eventi organizzati dalla CIA – Confederazione Italiana Agricoltori con l’associazione Piedmont Good Wines. Le etichette Montalbera potranno essere acquistate anche presso l’AgriLab del Castello di Barolo.

 

Grazie al Consorzio Barbera d’Asti e vini del Monferrato i vini Montalbera partecipano a ulteriori degustazioni, tavole rotonde e seminari con importanti giornalisti internazionali delle riviste più prestigiose del settore.

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Franco Morando, proprietario delle Cantine Montalbera e produttore di vino, crede e investe nella viticoltura piemontese e ha portato Montalbera in questi dieci anni ad essere riconosciuta tra le grandi realtà vitivinicole italiane. Dichiara Morando: “Montalbera guarda con determinazione ed entusiasmo al futuro, attratta sempre da nuove passioni, stili e interpretazioni del terroir. Continuiamo incessantemente, nello studio della viticoltura e dell’enologia per la valorizzazione di questo raro e prezioso autoctono, il principe del Monferrato, il Ruchè”.

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Il Ruchè di Castagnole Monferrato, autoctono raro del Piemonte, viene prodotto in una ristretta area del Monferrato Astigiano, in soli sette comuni con al centro Castagnole Monferrato che si distingue tra tutti per le sue colline vocate ai raggi solari. Terreni calcarei, asciutti, che rendono il territorio ottimale per la coltivazione di questo prezioso autoctono.

Non si hanno notizie certe sull’origine di questo nome (Ruchè), le ipotesi maggiormente accreditate vogliono che sia arrivato in Piemonte in periodo medioevale, importato dalla Francia da Monaci che lo impiantarono nelle terre attorno ad un monastero oggi scomparso, un luogo sacro, dedicato a San Rocco.

Alcuni ritengono che il nome derivi da “roncet”, una degenerazione infettiva che in tempi passati attaccò i vitigni della zona e di fronte alla quale il Ruchè si dimostrò particolarmente resistente. Altri riconducono la derivazione al termine Piemontese “roche”, zone arroccate e difficili da lavorare. Da recenti studi condotti dall’azienda MONTALBERA ed attenta analisi del vitigno (ricerca in merito al DNA condotta da MONTALBERA in collaborazione con il Centro scientifico BIOESIS) e delle Sue caratteristiche organolettiche, sembra possibile che derivi da antichi vitigni dell’Alta Savoia. Da tempo immemorabile solo presente dell’area di Asti è a tutti gli effetti un vitigno astigiano per secolare acquisizione. Con l’annata 2010 viene concessa la DOCG, ulteriore riconoscimento alla grande qualità di questo raro autoctono.

Ruchè DOCG Laccento 2015

Con un giusto e severo diradamento delle uve nei primi mesi estivi, effettuando un’attenta cernita di uve in sovra-maturazione, con un “piccolo” blend di uve appassite direttamente in vigna, MONTALBERA mette “LACCENTO qualitativo” sulla É di Ruchè.

Colore rosso rubino intenso con riflessi violacei, profumo intrigante con sentori floreali, note di petali di rosa e frutti di bosco. Gusto delicato e intenso al tempo stesso, piacevolmente aromatico, morbido ed elegante.

Ruchè DOCG Limpronta 2013 – Selezione di Famiglia

Dopo aver tracciato la “patente genetica” del Ruchè, dovevamo dare un valore aggiunto a questo autoctono con una produzione unica che donasse al privilegiato amante del Ruchè misteriose ed uniche armonie, sempre tipiche, ma esaltate dall’infinita cura enologica e produttiva. Purezza produttiva assoluta e certificata. Di color rosso rubino intenso con sentori tipici e caratteristici che spaziano dalla rosa canina alle più rare spezie orientali. Virtuoso e suadente con sensazioni fruibili negli anni. LIMPRONTA è un sigillo qualitativo al “legger cantor di legno”. La dottrina enologica ha sempre sconsigliato l’affinamento in legno di vitigni semi-aromatici ancor di più se rossi. Ed ecco comparir per noi una nuova sfida. La scelta di un affinamento esclusivamente in tonneaux a grana fine e tostatura lieve ha fatto la differenza. Il vitigno Ruchè prima dei nostri studi in legno non era mai stato approcciato a questa particolare tipologia di affinamento. Studio, passione, natura e consapevolezza delle nostre qualità e capacità han fatto il resto. Il bicchiere parlerà diceva il saggio.

 

www.montalbera.it

Si chiamerà “I’m” il nuovo ristorante in Costa Smeralda

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Tra la mondana Porto Cervo e i colori del mare della Costa Smeralda, il nuovo ristorante diventa il rifugio dove scoprire la cucina dello chef emergente Ivan Matarese

Si chiamerà “I’m” il nuovo ristorante nel cuore della Costa Smeralda: il nome gioca intenzionalmente con le iniziali dello chef emergente Ivan Matarese e la lingua inglese. “I’m” ovvero “io sono”, diremmo in italiano: lo chef si diverte a stuzzicare non solo l’appetito ma anche la curiosità. “Ricca di originalità, attenta alla cultura ma con un occhio all’ innovazione, biologica e sostenibile: questa è la cucina che vi invito a sperimentare alla mia tavola” ecco in sintesi la descrizione della cucina di Ivan Matarrese, impegnato in una nuova sfida.

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Il ristorante, che verrà inaugurato a metà luglio, è all’interno dell’hotel Le Ginestre: solo 8 tavoli, 30 coperti al massimo, tanta tranquillità, ambiente informale, atmosfera di eleganza sobria, attenta e non ostentata, servizio curato e entusiasmo nel presentare le nuove creazioni scaturite dalla fantasia culinaria di Ivan Matarese, le cui origini campane si incontrano con i sapori del cuore del Mediterraneo, la Sardegna. Vissuto a Somma Vesuviana, alle pendici del Vesuvio, Ivan Matarese ha un legame molto forte con la natura, con la terra e con il mare.

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Nei suoi piatti unisce armoniosamente i sapori, dando ai piatti anche un’anima visiva. A lui piace “impiattare”, il contenuto deve essere buono da mangiare e bello da vedere, una sinfonia dove tutti i sensi partecipano. Anche l’udito: il ristorante è tra la natura della Costa Smeralda, tra alberi, siepi, fiori e prati. Il cinguettio degli uccelli si mescola al canto delle cicale e la Sardegna diventa una terra autentica da vivere a 360 gradi.

SARDEGNA 2017 HOTEL LE GINESTRE IL MENU DELLO CHEF IVAN MATARESE

In questo angolo privilegiato, a pochi passi dai riflettori mondani di Porto Cervo, i ritmi rallentano, il ristorante diventa un luogo intimo di convivialità, di relax e di pace. Si sfoglia il menu lentamente, assaporando già dalla lettura i piatti descritti.

In questa cornice incantata, all’interno di uno dei primi hotel della Costa Smeralda, “Le Ginestre”, arrivano le ispirazioni che, partendo da ingredienti territoriali e basandosi sulla grande tradizione culinaria Italiana, vengono interpretate da Ivan Matarese in chiave contemporanea. Il ristorante è aperto a tutti: per raggiungerlo si passa l’ampia “hall” dell’hotel Le Ginestre, i cui spazi sono elegantemente suddivisi in vari salotti, intimi ed accoglienti. Divani, poltrone, tavolini bassi, fiori: si attraversa questo spazio dove i colori chiari mettono in risalto anche le volte del soffitto, le colonne, le poche pareti di muro. Il resto è luce. La parete di vetro che si affaccia verso la piscina ed il mare incamera tutta la luminosità dei paesaggi mediterranei.

Il breve itinerario che conduce a “I’m” è un piccolo cammino verso il piacere che attraversa il piacere stesso di questi ambienti carichi di scorci in grado di emozionare. Una scaletta conduce verso un corridoio all’aperto dove le pareti sono inondate da profumati gelsomini, il giardino dell’hotel Le Ginestre brulica di natura e di profumo di mare.

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Prima di cena, si può scendere, attraverso una piacevole passeggiata nella macchia mediterranea, nella spiaggia privata: riparata dai venti, ci si rilassa assaporando le atmosfere che i colori del mare della Costa Smeralda sanno regalare. Benvenuti in paradiso.

 

Hotel Le Ginestre

Porto Cervo, Costa Smeralda

Arzachena OT

Telefono: 0789 92030

www.leginestrehotel.com

Casentino, dai territori cari a Dante alla cucina italiana del mondo! di Marco Marucelli

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L’appuntamento annuale intorno al solstizio d’estate che ci riserva il macellaio di Rassina, Simone Fracassi, è inserito oramai da 15 anni nella mia rubrica. Uno di quegli appuntamenti irrinunciabili per vari motivi. La bellezza dei luoghi, ancora incontaminati ed a misura d’uomo che sono i paesi del Casentino; l’incredibile varietà di prodotti gustosi offerti dal territorio ed integrati da quelli della tante e spesso diverse, aziende artigiane ospiti  della manifestazione; la consueta e calda, ma sopratutto verace, ospitalità di Simone, che condivide con me ed alcuni altri la passione per la scoperta e la comunicazione del buon cibo e della tradizione.

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Quest’anno l’evento si è diviso addirittura in tre parti, una più interessante dell’altra, rendendo indiscutibile la presenza in queste terre.  Complice anche il clima, che ha riservato un bellissimo cielo azzurro, che dava ancor più risalto al verde della foresta casentinese, ai campi trebbiati da poco e al refrigerio che si percepiva appena lasciata la vallata del Sieve, che nel risalire la Consuma, l’impressione fosse che si andava a conquistare un angolo di paradiso.

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E che paradiso, di calma, quiete francescana e gusto. Non solo nel cibo ma anche nella vita, piccoli paesi vivi, ben tenuti, attenti a curare il turista curioso e preparato che giunge in questi luoghi spinto da voglia di conoscere, di sapere quello che la storia ha da raccontare, anche attraverso un piatto di questa cucina genuina, delicata ma al tempo stesso decisa.

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Tre eventi che hanno preso vita domenica  18 giugno in piazza Garibaldi a Rassina con la mostra mercato “Maestri del Sapore”, che ha fornito, al pubblico intervenuto, spunti e assaggi su tanti prodotti tipici del territorio e dell’Italia. Non a caso si è svolto nella piazza in cui ha sede la storica macelleria Fracassi che, proprio quest’anno, compie 90 anni di attività (ecco il primo dei tre eventi di cui sopra n.d.r.).

img_20170619_182559La sera di domenica ha riempito la piazza Tarlati di Bibbiena allestita come una grande pizzeria/ristorante all’aperto con due postazioni che si affrontavano in termini di pale, ramaioli e tegami. Una prima serie di maestri pizzaioli sfornava delle pizze d’autore, con ingredienti ed impasti tipici delle zone di provenienza.

img_20170619_180233Dall’altro lato le cucine a vista ospitavano cuochi stellati e non, che presentavano deliziosi manicaretti studiati per l’occasione e apprezzati dai presenti. All’insegna di questi sapori è così calata la notte sulla prima giornata. Il lunedì è stata la volta del poderoso maniero dei conti Guidi a Poppi dove una selezionata rappresentanza di vignaioli e aziende vinicole, anche di piccole dimensioni,ha proposto degustazioni dei loro prodotti alle decine di cuochi italiani provenienti da tutto il pianeta.

img_20170619_180909Nel pomeriggio altra tornata gustosa a fare la corte alla macelleria Fracassi nella piazza Garibaldi a Rassina, dove decine di giornalisti venuti da ogni parte, insieme ai cuochi  italiani, sia con locali in Italia che espatriati, hanno degustato i prodotti presenti: dai formaggi ai salumi, dal pane di Matera ad alcune proposte di eccellenti pomodorini, senza dimenticare pasta, salmone affumicato, peperoncini delle varie gradazioni scala di Scoville.

img_20170619_180350Insomma una piazza che evocava la dispensa di un gourmet. Quando il sole iniziava a calarsi in un tramonto rosato, il gustoso convivio si è diretto a Bibbiena, dove in piazza Tarlati si ripeteva, con attori diversi, quanto già accaduto il giorno precedente. Un ulteriore gruppo di pizzaioli e cuochi si è alternato ai forni ed alle cucine per allietare le centinaia di persone che incuranti della coda si apprestavano a seguire i vari cooking show che si sono susseguiti fino a tarda serata.

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Martedì è stata invece la giornata clou per quanto riguarda gli eventi  (sono stati realizzati infatti gli altri due, dei tre previsti in questa tre giorni). I giardini delle Terme di Stia, all’ombra del monumentale Palagio Fiorentino, hanno ospitato il forum della cucina italiana del mondo (ICW Forum) giunto alla sesta edizione che per l’occasione ha ufficializzato ai cuochi, giornalisti e politici presenti la presentazione di un progetto che possa portare al riconoscimento dell’UNESCO quale patrimonio immateriale dell’umanità della cucina italiana nel mondo. Un progetto ben strutturato che è risultato essere condiviso non solo dai cuochi italiani all’estero e dai colleghi che lavorano in Italia (indipendentemente dalle varie associazioni di appartenenza, quasi tutte presenti con i loro referenti), ma anche da chi opera nel campo dell’informazione e della esportazione di prodotti tipici.

img_8616Lo sventolare sul palco della bandiera italiana e lo scrosciare degli applausi è stato il momento di andare a festeggiare con una degustazioni di vini aretini abbinati a piatti della tradizione delle provincie toscane, che erano stati preparati da vari cuochi presenti e accompagnati dalla musica di una band davvero inusuale, quella di alcuni chef che hanno dimostrato non solo di saper usar bene mestoli e tegami ma anche strumenti musicali.

img_0524E come da tradizione Borgo Corsignano, è stato pronto ad accogliere, in una veste nuova ed inusuale, le centinaia di ospiti sui suoi prati e a bordo delle piscine, per Capolavori a Tavola, giunto alla 16esima edizione. Questa creatura curata dalla passione di Simone Fracassi, ogni anno ci stupisce per quanto offre. Per la ricerca maniacale di prodotti e di cuochi che presentano i piatti, abbinati ad importanti etichette di vino presenti. Che delizia i palati con dolci e dessert, sigari e liquori, tanta bella musica dal vivo ma soprattutto con i colori della natura, del tramonti prima e del chiarore della luna poi…ricordandoci che abbiamo vissuto tre giorni in paradiso, non solo di tranquillità ma di grande gusto e passione.

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Cibo Nostrum, oltre 20mila presenze Una festa della cucina con mille cuochi

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Una grande festa della cucina italiana, culminata nel momento del Taormina Cooking Fest: lungo i 2.100 metri di Corso Umberto I si sono svolti centinaia di show cooking. Una spettacolare promozione del Made in Italy che ha fatto incrementare del 300% la raccolta fondi per la ricerca sul morbo di Parkinson.

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«Oltre 20mila presenze registrate, 150 postazioni di cuochi che hanno impegnato circa mille professionisti, 50 cantine rappresentate, di cui 30 dell’area Etna, e un incremento del 300% della raccolta fondi per la ricerca sul morbo di Parkinson, perché Cibo Nostrum sostiene con determinazione la causa della solidarietà». Così Rocco Pozzulo, presidente Federazione Italiana Cuochi, al termine della 6ª edizione della manifestazione che dall’11 al 13 giugno si è svolta tra Zafferana Etnea (Ct), Giardini Naxos e Taormina (Me). Il momento di massimo impatto, anche mediatico, della grande festa della cucina italiana è stato il Taormina Cooking Fest. Lungo i 2.100 metri di Corso Umberto I si sono celebrati in diretta centinaia di show cooking, un vero G7 della gastronomia italiana e un momento spettacolare di promozione del Made in Italy in una Taormina affollata dal turismo internazionale.

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«La nostra cucina parla a tutto il mondo», ha commentato il bistellato Ciccio Sultano patron del ristorante Duomo di Ragusa Ibla e neo membro Euro-Toques. Nel suo corner troneggiava un mastodontico tonno rosso da 217 kg (pescato nel Mediterraneo con ami e palangari) affilato dal maestro Alfio Visalli. Una passerella di ricette e di materie prime di alto profilo, a partire proprio dalla bottarga di tonno di Ciccio Sultano, ha solcato la dorsale di Taormina. Una manciata di testimonianze: Spaghetti freddi all’acqua di pomoro, gambero di nassa al profumato al coriandolo e aria di conchiglie; Ricciola, burrata, pomodoro e pesto; Crema di ricotta di bufala, crema di carote sferificata e tartufo; Sgombro e schiacciatina di ceci.

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Cibo Nostrum è stato anche un momento di incontro, a tu per tu, con i protagonisti della cucina italiana. Di grande stimolo il confronto con Marco Sacco, due stelle Michelin del Piccolo Lago di Mergozzo (Vb), che ha presentato il Movimento gente di lago, che vuole valorizzare la ricchezza delle acque interne, un patrimonio inestimabile. «A questo proposito – ha commentato Sacco – è necessario pianificare e sostenere strategie gestionali che assicurino il corretto equilibrio tra la salvaguardia delle risorse ittiche, la loro promozione gastronomica come una tra le infinite ricchezze culinarie del panorama italiano e i benefici economici derivanti dal loro utilizzo. L’acquacoltura è un ottimo esempio di scelta lungimirante». Coerente con il tema di Cibo Nostrum, ha presentato nell’ambito del workshop un Sandwich mare-lago rappresentato da sarda, misultin (agone essiccato), pane, maionese di misultin e liquirizia fresca.

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Su questa linea anche il convegno organizzato in collaborazione con il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali e il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca: “Pesca sostenibile, acquacoltura e cucina consapevole: il pesce azzurro e le specie eccedentarie”. Abbiamo 8mila chilometri di coste, è stato sottolineato, e dobbiamo valorizzare tutte le nostre specie di pesce azzurro, il pesce per antonomasia, solitamente poco commercializzate nel mercato ittico e sui banchi delle pescherie.

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«Bisogna imparare – ha precisato Dorina Bianchi, sottosegretario al Turismo e beni culturali – a raccontare il pesce azzurro come si è fatto con il vino. In quest’ottica si valorizzano i beni del Paese e l’alimentazione – va ribadito – è un moltiplicatore di esportazione». Le ha fatto eco Giuseppe Castiglione, sottosegretario alle Politiche agricole: «Tutelare il nostro mare e il nostro pescato significa favorire la sostenibilità ambientale. Un obiettivo che ci vede alleati con la Federazione Italiana Cuochi, impegnata nella promozione dei valori del pesce azzurro, digeribile e ricco di minerali. Un alimento che fa bene ai bambini».

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«Dobbiamo portare il pesce azzurro nelle scuole primarie – ha precisato Rocco Pozzulo – elaborando con i Ministeri un progetto di formazione dedicato ai giovani. Ma anche nei ristoranti, per incentivarne il consumo, il menu dovrebbe presentare almeno una ricetta a base di questa materia prima eccezionale». Nel corso del convegno è stato inoltre ricordato che oltre il 50% del pesce azzurro proviene da acquacoltura. Che il pesce da acquacoltura moderna sia uguale a quello di mare è ormai opinione comune.

Cibo Nostrum si è infine spostato alle pendici dell’Etna, dove presso la cantina Cusumano è stato siglato il Patto Etneo tra cantine, cuochi, sommelier e produttori di pesce azzurro. Un manifesto per sviluppare e rappresentare al meglio il patrimonio etneo a livello ambientale, storico e culturale. Festa finale a pochi chilometri, tra il versante nord dell’Etna e il parco dell’Alcantara. Qui ha sede la cantina di Cottanera, azienda vincola guidata dalla famiglia Cambria: 110 ettari in continuità (un unicum in quest’area), di cui una sessantina a vigneto (Nerello Mascalese, Carricante, Catarratto).

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La degustazione ha visto sfilare vini di alta gamma, frutto di un intenso e appassionato lavoro in vigna e cantina. Nell’ordine, Metodo Classico Brut 2012 (100% Nerello Mascalese), Etna Bianco Doc Contrada Calderara 2015 (100% Carricante), Etna Rosato Doc (100% Nerello Mascalese), Etna Rosso Contrada Feudo di Mezzo (100% Nerello Mascalese). In chiusura, Etna Rosso Doc Riserva 2011 Contrada Zottorinoto (100% Nerello Mascalese) con affinamento di 24 mesi in botte di rovere francese e successivamente altri 24 in bottiglia.

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Il profumo del viaggio … dalla testa all’anima! di Marco Marucelli

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Anche questa 92esima edizione di Pitti Immagine Uomo, Primavera Estate 2018, come spesso accade, è segnata da un clima piuttosto torrido che ben si sposa con le proposte della moda che imperverserà l’anno prossimo. Tra quanto ho potuto vedere nel mio giro durante la giornata inaugurale, certamente la testa è l’anima si sono focalizzate su una novità nel settore dei cappelli e legate ad una delle più grandi aziende italiane con sede principale in Puglia, la Doria 1905… ma guardiamo prima cosa accade intorno!

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Se togliamo la fauna di fotografi  posizionati sia nel piazzale antistante la porta di accesso alla Fortezza che nei pressi del muretto di fronte all’ingresso principale del padiglione Spadolini, che ogni edizione sono sempre in attesa di cogliere qualche VIP o qualche elemento “curioso” che necessita di vivere qualche secondo di notorietà immortalato poi su fashion blog o instagram, l’aria che si respirava in questa edizione  era la stessa che troveremo in un mercato vintage.

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Il ricordo è andato a quello che indossavo, in tempi meno sospetti, tra i miei venti e trenta anni, camice floreali, righe, colori pastello con abbinamenti cromatici più adatti ad un manutentore stradale che ad un uomo elegante, ma che comunque non stonavano in giro tra i vari padiglioni.

img_7509Le scarpe piuttosto classiche, con molte varianti comode e sportive, che spesso non si abbinavano a qualche mise più eccentrica, ma che invece erano perfette con vestiti di lino dai colori tenui o decisi, sempre comunque piacevoli alla vista e certamente anche indosso. Uno dei complementi che mi hanno sempre affascinato, seppur io non sia un tipo che fa bella figura, sono i cappelli. Li ammiro indosso a quelle persone che lo portano con eleganza e naturalezza e che lo valorizzano. Quindi immancabile la visita ad una delle realtà italiane più interessanti che abbia scoperto nel tempo.

ientuNon solo per la grande qualità di tessuti e manifattura ma anche per la filosofia che consente di presentare ad ogni edizione delle vere novità che richiamano comunque due elementi primari, i colori della terra di Puglia e i richiami ai profumi ed ai sapori che avvolgono il viaggio. La collezione Floralia di Doria 1905, ripercorre un viaggio fatto di colori e profumi da oriente a occidente, che ritroviamo nei cappelli tascabili di tela di lino. Per i più giovani o comunque quelli che non danno peso all’età, viene presentata la collezione Toodoria ispirata allo street wear urbano. Ma proprio in tema di colori, profumi, viaggi la novità delle novità è rappresentata dalla collezione Ientu che inaugura la linea del “profumo da cappello” grazie alla collaborazione con la creatrice di profumi artistici Gabriella Chieffo. Il cappello da viaggio , fresco, pratico, tascabile, destrutturato ed elegante incontra una fragranza che trae ispirazione, come dice il suo nome Acquasala, dagli elementi primordiali della terra salentina … l’acqua ed il sale.

Inebriante, persistente ed evocativa, la fragranza arriva diritta all’anima portando con se emozioni e ricordi che raggiungono il cuore … come avviene ogni volta che si ritorna da un viaggio!

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