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STORIE DI PIATTI E TERRITORI – LA TOSCANA SI RACCONTA ATTRAVERSO LA TAVOLA

and make ravioli using the  straight pastry wheelRaccontare le caratteristiche di un piatto vuol dire parlare della cultura e degli uomini che l’hanno prodotto. Significa approfondire i rapporti che legano l’alimentazione al tessuto economico, sociale ed etico. Sono storie che spesso coinvolgono intere famiglie e generazioni, riappropriandosi di una memoria che rischia di scomparire.

Il cibo ha avuto sempre una posizione di centralità economica nei territori che, con l’aumentare dei consumi e del sapere, si è accresciuta fino ad oltrepassare i confini della sfera dei bisogni. Non è un caso che tra le principali motivazioni che spingono i turisti a visitare la Toscana ci sia l’enogastronomia insieme alla cultura. Il cibo, dunque, è un importante valore aggiunto per un rilancio economico del territorio in un momento di crisi.

Ogni ricetta è un piccolo scrigno dove si mescolano tradizione, storia personale e sapienza “materiale” e spesso è il risultato di un’evoluzione secolare che racchiude cultura, economia, arte e paesaggio che insieme determinano l’identità del territorio stesso.

La tavola allora diventa il punto di partenza per raccontare le storie e il vissuto di una Regione. Con questo scopo nasce il contest: “Storie di piatti e territori” presentato oggi da Sara Nocentini, Assessore a Commercio Cultura e Turismo della Regione Toscana.

Cittadini, blogger, giornalisti italiani e stranieri sono chiamati a raccontare la loro Toscana, o un ricordo legato a questa regione, attraverso la storia di un piatto.

Tutti i testi e le ricette valutate positivamente saranno pubblicate sul sito www.storiedipiatti.it, integrato al sito di Vetrina Toscana, in cui si trovano anche i dettagli del regolamento. Una commissione individuerà i racconti più meritevoli che andranno a formare un e-book gratuito che verrà presentato in occasione di Expo.

Le storie più interessanti verranno raccontate ai media dalla viva voce degli autori e le migliori ricette verranno poi cucinate, insieme allo staff della cooperativa sociale I Ragazzi di Sipario, dalle persone che le hanno inviate.

 

Il contest è organizzato da Vetrina Toscana il progetto di Regione e Unioncamere che negli ultimi tre anni ha puntato ad unire storia, arte, paesaggio ed enogastronomia per poter offrire una visione a 360° della cultura toscana, in collaborazione con Fondazione Sistema Toscana.

Lo scopo non è certo quello di fare un libro di ricette, ma di riappropriarsi di una memoria fondamentale per la qualità della vita, che può rafforzare l‘identità toscana e nello stesso tempo contribuire a migliorare il tessuto economico.

La Toscana che uscirà da questi racconti sarà uno stimolo per attirare nuovi visitatori solleticando la curiosità di scoprire di persona la nostra regione attraverso i suoi tesori, a partire dai piaceri della tavola.

Gujarat, fra gli ultimi nomadi del deserto del Kutch

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Testi e foto di Laura Colognesi

“Aavo Padharo” (“benvenuto”) ripetono con un sorriso in lingua gujarati gli abitanti del Gujarat, estrema propaggine occidentale della penisola indiana al confine con il Pakistan, dove il turismo non è ancora arrivato e l’India mette a nudo la sua anima più autentica. Da Bhuj, il capoluogo del Kutch a due ore di volo a nord di Mumbai, con il suggestivo Aina Mahal, il “Palazzo degli Specchi” costruito nel XVIII secolo, e il Prag Mahal, il palazzo voluto dal reggente Rao Pragmalji II, la strada verso nord si addentra nel Rann (“palude salata”) di Kutch, il Grande Deserto ai confini con il deserto pakistano del Sindh, dove vivono le etnie dei nomadi Rabari, Banni e Koli. Sguardi che penetrano, uomini e donne in silenziosa processione ai bordi delle strade, polverose e assolate, spesso in condizioni precarie. Sguardi intensi e fieri di donne spose troppo presto, nel paese che conta il più alto numero di matrimoni infantili del mondo, dove nei villaggi disseminati qua e là l’istruzione è ancora un miraggio. Un viaggio in India è una lezione di vita, intima e introspettiva, che costringe a fare i conti con se stessi, e lo è ancora di più nel Gujarat, la regione più autentica ed originale, che ha fornito alla storia il maggior numero di rja e maharaja, patria di Mahatma Gandhi, la Grande Anima dell’India, che nacque a Porbandar nel 1869.
DSCN8463Il monsone estivo riempie di acqua il deserto piatto, esteso per circa 30.000 km², fatto di argilla salata e aree fangose a un’altitudine di 15 metri sul livello del mare, sorvolato da uccelli migratori e popolato dagli ultimi esemplari di khur, l’asino selvatico dell’Asia. La natura crea così un mosaico di isolette sabbiose di cespugli spinosi, luogo di svernamento per grandi stormi di fenicotteri rosa, che di tanto in tanto si alzano in volo rompendo il silenzio assordante. Qua e là i villaggi delle comunità pastorali. Le donne dai capelli corvini e dalle ciglia folte che filano tessuti dai colori vivacissimi, resi unici da disegni stampati, diversi da villaggio a villaggio, e svolgono i più duri lavori manuali, indossando con fierezza bellissimi abiti dai colori sgarcianti, forti e penetranti, impreziositi da pesanti gioielli mentre gli uomini assicurano il sostentamento allevando le greggi.
DSCN8561Tutta la vita qui, su una strada. “La vera casa non è una casa, ma la strada e la vita è un viaggio da fare a piedi” diceva lo scrittore britannico Bruce Chatwin. Chi lavora, chi si riposa, chi mangia.
Un pittoresco andirivieni di un mondo lontano, ancora incontaminato, non intristito e globalizzato dal progresso, che cerca di restare se stesso. Senza fretta né ansie, spontaneo e senza malizia, ognuno al suo posto vive la propria semplice esistenza. Un modo diverso di affrontare il quotidiano, a cui noi europei non siamo più abituati. Una terra che ha rappresentato soprattutto la roccaforte storica dello jainismo, il movimento religioso dell’estremismo ascetico dei santoni nudi e della non violenza portata all’esasperazione, tanto da far indossare i suoi adepti una mascherina sulla bocca per non uccidere i microbi e pulire la strada con una scopa per non calpestare gli insetti. Il divieto imposto di coltivare la terra, pescare o allevare animali ha esaltato la creatività, con la produzione di eccellenti tessuti con disegni dai colori brillanti, mobili laccati e oreficeria di alto valore.
DSCN8427Lungo la strada un’ordinata moltitudine di uomini e donne percorre a volte centinaia di chilometri per i pellegrinaggi, anche quando il sole non illumina più la via. Carri trainati da buoi, animali, individui spuntano all’improvviso, illuminati dagli abbaglianti e, altrettanto all’improvviso, scompaiono dallo specchietto retrovisore. Nulla sembra turbare la loro tranquilla esistenza e le loro millenarie tradizioni. Sostano in raduni improvvisati ai bordi della strada, seduti per terra, dove presente e futuro si mescolano senza scalfirsi. Vecchie signore cucinano antiche ricette mentre bambine dall’aria felice fotografano con gli smartphone i rari europei di passaggio. La tecnologia sta arrivando ma non sempre porta felicità. Da Bhuj si guida verso Bajana, attraversando il Tropico del Cancro, sostando nelle postazioni semi-nomadi delle tribù pastorali.
Gujarat, donnaTutto attorno sconfinate pianure aride e deserti stopposi. Ma il senso del viaggio è qui, ai bordi della strada asfaltata. Vicino ma mai così lontano.Da lontano si scorge una tenda enorme, abitata dagli Jat, una delle ultime tribù di pastori nomadi, dove le donne sposate, poco più che bambine, indossano con fierezza un enorme anello infilato nel naso fino ad anno dopo il matriomonio. Solo una guida riesce ad avvicinarli. Un microcosmo patriarcale apparentemente autosufficiente, non addomesticato, dove le donne lavorano i tessuti che solo gli uomini, dediti alla terra e alla pastorizia, rivendono nei mercati vicini. Quasi spoglio l’interno della tenda, senza accessori, elettrodomestici, televisione.
processione di donneMa sorridono, hanno l’aria felice, hanno bisogno di poco per sopravvivere.Ogni sei mesi, quando il monsone arriva, spostano la loro tenda e la loro routine in un altro luogo, senza nome. Questo incontro, anche se fugace e reso complicato dalle difficoltà linguistiche, vale da solo il viaggio. Felici con niente e nel niente. Al contrario di molti europei, troppo spesso indaraffati a cercare il souvenir ad ogni costo, in modo quasi compulsivo, senza il tempo di cogliere le grandi storie dai piccoli dettagli. A nord del Tropico del Cancro, su un’arida e vasta distesa, il Deserto Bianco segna il confine naturale con il Pakistan. Un luogo surreale, immenso, completamente sommerso durante la stagione dei monsoni. Il più grande deserto di sale del mondo, esteso su circa 10.000 km quadrati dove, nella solitudine, si avverte la coscienza dei propri limiti.
cucina GujaratLungo la strada ogni sosta è una scoperta. Sfruttare le risorse del territorio è la prima regola su cui si basa ogni società. Come le donne della comunità Ahir intente al ricamo a mano nel villaggio di Dhaneti e, non lontano, gli artigiani tessili Ajrakh, nel villaggio di Dhamadka, abili ideatori di una tecnica per la stampa dei tessuti ottenuta dall’utilizzo di blocchi scolpiti con i motivi a rilievo. Alcuni villaggi non hanno nome, sono strade di fango in mezzo al nulla, con poche case costruite vicino a fonti d’acqua, ma i sorrisi contagiosi e spontanei dei bambini sono qualcosa che rimane dentro, anche a distanza di mesi. E’ il grande tesoro, inestimabile, dell’India.
DSCN8303All’alba, in fuoristrada, si guida verso il Piccolo Deserto di Kutch, landa disabitata dove le tribù locali estraggono il sale dal sottosuolo, pompando l’acqua dalle falde sotterranee. Verso l’Est si intensificano le città, e svanisce il silenzio del deserto. Modhera, con l’imponente Tempio del Sole costruito nel 1026 sulla riva del fiume Pushpavati da re Bhima I della dinastia Solanki, progettato – come il più celebre tempio di Konarak – in modo che durante gli equinozi i raggi del sole nascente illuminassero, attraverso la porta principale, l’immagine di Surya, il Dio del Sole, eretta all’interno del Sancta Sanctorum.
DSCN8421Lungo la strada, in direzione nord-est, si sosta a Patan, l’antica capitale hindu con il Rani-Ki-Vav (“Pozzo a gradini della Regina”), un “baoli” (tipico pozzo a gradoni su più strati del Gujarat), un’opera di eccellente ingegneria, unica nel suo genere, costruita nel periodo dei Solanki o Chalukya, rivolta verso est e che misura approssimativamente 64 m di lunghezza, 20 m di larghezza e 27 m di profondità, incisa con splendide figure, di straordinaria eleganza. Una piccola porta sotto l’ultimo gradino del pozzo conduce all’ingresso di una galleria di 30 chilometri (ora bloccata da pietre e fango) che conduce alla città di Sidhpur, vicino a Patan, usata come via di fuga per il re che costruì il pozzo in tempo di guerra. A Patan, dove si può anche pranzare a casa dei locali (www.patanpatola.com, su prenotazione, 10 USD), si filano i “patola”, i sari in seta, realizzati secondo un’antica tecnica raffinata e complessa, in cui il filato viene dipinto creando il disegno prima della tessitura. Proseguendo verso sud, fra villaggi via via più numerosi, con mercati colorati, intrisi di sapori e vecchi mestieri, si giunge a Ahmedabad, la città fortificata fondata nel 1411 dal sultano Ahmed Shah, che la adornò di splendidi monumenti indo-islamici e forti, testimonianza delle numerose battaglie, assedi e conquiste mughais, marathas e britanniche. DSCN8398Sesta città dell’India per numero di abitanti, divenne un importante centro tessile durante lo sviluppo industriale del XVIII sec., ancora oggi famosa per la produzione di splendidi tessuti. Capoluogo economico e culturale, nel 1915 Ahmedabad divenne sede del Sabarmati Ashram, il quartier generale di Gandhi (tutt’ora visitabile e molto toccante) sulle rive del fiume Sabarmati, durante la lotta per l’indipendenza dell’India. Da qui, il 12 marzo 1930, Gandhi partì per la famosa “Marcia del Sale” fino al Golfo di Cambay, in segno di protesta contro il monopolio governativo sulla produzione e la vendita di sale. Il fiume divide la città in due zone. Sulla riva orientale, a Badhra, oltre alla città vecchia, sorgono le maggiori attrazioni turistiche. Ovunque un disordinato e colorato andirivieni di tuk-tuk, motorini, furgoni, un gigantesco “flipper umano” in cui tutti suonano, si sfiorano ma nessuno si ferma. E nessuno mai si scontra. Dalla stazione centrale si percorre la Gandhi Road fino al “Teen Darwaja”, la porta in pietra scolpita a triplice arcata percorsa un tempo dai cortei regali che lasciavano il palazzo per assistere alla preghiera del venerdì presso la Grande Moschea (Jami Masjid), edificata dal Sultano Ahmed Shah e composta da 15 cupole, sostenute da ben 260 colonne con incisioni molto elaborate. Varcata la porta si accede al bazar costituito da un dedalo di viuzze dette “pols” ove si affacciano botteghe spesso minuscole e antichi palazzi con facciate decorate in legno scolpito fino a Manek Chowk, la grande piazza-mercato dove si vendono oggetti artigianali in ottone. Verso sud si prosegue per Vadodara (o Baroda), dove merita una sosta il sontuoso palazzo in stile indo-saraceno Laxmi Vilas Palace, costruito nel XVI secolo dal Maharaja Sayajirao Gaekwad III, su un terreno di oltre 700 acri, senza badare a spese.
Ma la nostra anima è rimasta con gli ultimi nomadi del deserto.

DSCN8265CUCINA DEL GUJARAT: essenzialmente vegetariana dovuta all’influenza dello jainismo. Il tipico “Gujarati Thali”, il cui nome deriva dal piatto dove viene servito, è una combinazione di verdure e spezie, piccanti o dolci, disposte in piccoli assaggi in un unico piatto, da assaggiare con salse tipiche e riso. Si mangia con le mani. Fra i piatti più diffusi del Gujarat, il “khadi” (curry composto da latticello chhash e gram fluoro, di solito dolce o piccante), il “Puran Poli” (noto anche come Vedmi, pane riempito con ripieno dolce), il “Dhana capsicum nu Shaak” (coriandolo secco con peperoncino e farina di ceci al curry) e il “Doodhpak” (budino di riso fatto con latte e zucchero bollente e aromatizzato con cardamomo, uvetta, zafferano, anacardi, pistacchi o mandorle; servito come dessert). Il curry, parola inglese che deriva dall’indiano “kari” che significa salsa speziata, in India non è una polvere preconfezionata identica ovunque, ma una mescolanza di tante spezie come il coriandolo, la noce moscata, lo zenzero, i semi di papavero ed altre ancora disposte in varie combinazioni. Preparato quindi in modo assai diverso da regione a regione, il curry costituisce una delle basi della cucina indiana.
Per approfondire: “The Complete Gujarati Cook Book” (Tarla Dalal, 1999).
Dove assaggiare il Gujarati Thali: The House of Mangaldas Girdhardas (Ahmedabad, www.houseofmg.com, su un’incantevole terrazza.

lavaggio dei tessuti nei villaggiDA SAPERE PRIMA DI PARTIRE
Quando andare: da settembre/ottobre a marzo.
Documenti: visto consolare ottenibile in circa 10 giorni.
Ufficio Nazionale del turismo indiano: Tel 02 804952, info@IndiaTourismMilan.com, www.IndiaTourismMilan.com
Viaggio in Gujarat: con “I Viaggi di Maurizio Levi” (Tel 02 3493 4528, www.viaggilevi.com), itinerario di 15 giorni con partenze il 25 febbraio e 28 marzo 2015, da 2.750 euro in doppia.
Turismo Gujarat: http://www.gujarattourism.com
Come arrivare: Swiss Air, www.swiss.com, voli di linea da Milano e Roma per Mumbai.

ARTE: FLORIAN UNDERGROUND A VENEZIA

ImmagineDal 22 gennaio al 22 febbraio il Caffè più antico del mondo presenta un’installazione dedicata ai “Non noti”

Durante la mostra l’artista disseminerà alcune opere tra le calli veneziane

Si chiama “Florian Underground a Venezia” la mostra che apre la nuova stagione artistica e culturale del Caffè Florian di Piazza San Marco.

Dal 22 gennaio al 22 febbraio il Caffè Florian di Venezia ospita nella Sala delle Stagioni l’installazione dal titolo “Non noti” dell’artista e writer fiorentino Freno Persciacalli. Il titolo del progetto curato da Stefano Stipitivich, “Florian Underground”, è riferito alla collocazione originaria dell’opera, precedentemente esposta nei sotterranei del Caffè Florian di Firenze in via del Parione, a testimonianza del fil rouge che lega il locale fiorentino a quello veneziano.

L’installazione consiste in una serie di piatti industriali per torte posizionati su una delle pareti della sala, all’interno dei quali l’artista disegna con l’inchiostro di china alcuni volti frammentati di personaggi immaginari, non riconoscibili e non conosciuti. Da qui il titolo dell’opera, derivante dall’usanza di un tempo di trascrivere sulle carte di identità i nomi dei genitori; nei documenti degli orfani veniva riportato invece il simbolo NN (non noti), espressione ripresa dall’artista per classificare i suoi personaggi. L’opera del Florian diventa quindi un omaggio a quel popolo silenzioso che anima i Caffè intesi come spazi di aggregazione, in una società dove il web sembra esser l’unica piazza virtuale in cui è possibile comunicare. Nella stessa sala saranno esposte anche delle tazze del Caffè Florian dipinte dall’artista stesso, sulle quali è raffigurato un personaggio in pose diverse e visto da differenti angolazioni. Contestualmente alla mostra l’artista disseminerà alcune opere tra le calli di Venezia, come ha fatto anche a Firenze e come spesso usa fare dopo le sue mostre: piccole installazioni che Freno Persciacalli chiama “Abbandoni” e che potranno rimanere in possesso di chi le troverà. In questo modo l’artista interagisce con un pubblico diversificato e non soltanto con i frequentatori del noto locale veneziano. E’ inoltre un modo, da parte dell’artista, per lanciare il suo personale messaggio a un mondo dell’Arte a suo giudizio sempre più legato al business.

Marco Paolini, amministratore delegato del Caffè Florian, sottolinea: “Come da tradizione del Caffè Florian, all’artista non è stato semplicemente chiesto di portare i suoi lavori, ma di creare delle opere “site-specific”, di reinterpretare lo spazio del Florian, facendolo proprio. L’artista Frenopersciacalli, con la sua creatività, ha colto lo spirito di questo progetto “underground” che lo vede protagonista di un’installazione inaugurata a Firenze nei sotterranei del Caffè, e che ora esce dalle cantine per farsi ammirare nella Sala delle Stagioni a Venezia durante il Carnevale.

In posizione prestigiosa sotto i portici delle Procuratie Nuove in Piazza San Marco a Venezia, il Caffè Florian è il più antico caffè italiano e rappresenta un simbolo della città. Inaugurato il 29 dicembre 1720 da Floriano Francesconi con il nome di “Alla VeneziaTrionfante”, venne rapidamente chiamato dagli avventori Florian, dal nome del suo proprietario, diventando la più famosa “botega da caffè”. A metà dell’Ottocento fu completamente ristrutturato su progetto di Lodovico Cadorin, divenendo quello che oggi ammiriamo. Fin dalle origini, il Caffè Florian è stato luogo d’arte e di cultura e oggi ospita importanti manifestazioni che coinvolgono artisti di fama internazionale. Dopo quasi tre secoli, oltre ad essere uno scrigno di storia e di arte, il Florian è anche una realtà importante e riconosciuta al di fuori della città lagunare grazie all’apertura di “Caffè”, nello stile e nella tradizione Florian, a Firenze e a Roma, alla Farnesina e anche a Londra. Il Florian è diventato così un’icona del buon gusto e dello stile veneziano e italiano nel mondo.

TITOLO: Florian Underground a Venezia

DATA: dal 22 gennaio al 22 febbraio 2015

LUOGO: Caffè Florian, Piazza San Marco – Venezia
ORARIO: 9.00 – 24.00
TEL.: 041 5205641 FAX: 041 5224409
E-MAIL: info@caffeflorian.com

SITO: www.caffeflorian.com

DALLA SPAGNA A SAN MINIATO…L’ANTICO PERCORSO DEL TEMPRANILLO

Eva e Leonardo BeconciniLeonardo Beconcini era consapevole dell’importanza delle vigne che il nonno, prima di lui aveva trovato in azienda fin dagli inizi degli anni ’50.

Dopo aver condotto lunghi ed accurati studi in collaborazione con l’Università Agraria di Milano e con l’Istituto Sperimentale di Selvicoltura di Arezzo, ha accertato inequivocabilmente che i misteriosi cloni presenti nei vigneti dell’azienda da sempre, erano cloni di tempranillo.

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Grazie a questa scoperta, con il Decreto 2754 del 12 giugno 2009-11-12 codice 345 Tempranillo N. nero viene iscritto all’Albo toscano. La sete di sapere non si appaga e Leonardo si chiede come questo cultivar possa essere arrivato fino a San Miniato chi può averlo fatto arrivare fin qui.

 

«L’azienda – spiega Leonardo – sorge a poche centinaia di metri da una zona archeologica di posta romana ed in prossimità di Ponte ad Elsa. Si presuppone dunque che il luogo fosse un transito da secoli e che sia stato utilizzato come una delle direttrici per Roma della Via Francigena».

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La via Franchigena, anticamente chiamata Francesca o Romea, era una strada che portava i fedeli alle tre principali méte religiose: Santiago de Compostela, Roma e Gerusalemme.

 

Inoltre la zona di San Miniato, ed in particolare Ponte ad Elsa era nella direttrice che tagliava da Altopascio, nota sede di un ospedale e centro di accoglienza dei pellegrini.

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«Da alcune ricerche effettuate – continua Beconcini – si ipotizza che: famiglie di pellegrini Spagnoli possano aver portato semi di vite Tempranillo e abbiano diffuso questa pianta nelle vicinanze di San Miniato, seminandola appunto, come era usanza dell’epoca.

Un tragitto che verosimilmente potrebbe essere avvenuto intorno alla metà del ‘700 secolo direttamente dalla regione iberica della Rioja, proprio nella regione a nord della Spagna, dove si trova Santiago di Compostela.

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«Si crede che il periodo sia la metà del 700 – dice il produttore – perché all’epoca a San Miniato viveva un parroco agronomo, Giovanbattista Landeschi, nominato parroco di Sant’Angelo a Montorzo in Comune di San Miniato. La parrocchia era molto povera ed i pochi seminativi erano circondati da calanchi. Egli si impegnò in progetti agricoli di grande interesse e fu il precursore della coltivazione a terrazzamento delle colline in controtendenza».

L'azienda

Il parroco – che ha lasciato molti scritti ed anche diversi trattati di agricoltura – può essere stato l’agricoltore evoluto che ha saputo in quegli anni lontani capire il valore di questa pianta, se ben coltivata a San Miniato, diffondendola nel territorio, tanto da permettere ad alcune di queste piante di giungere fino a noi.

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Queste vie di scorrimento permettevano alle varie culture di entrare in contatto ed ancora oggi sono rintracciabili le memorie di questo passaggio, come la nostra storia potrebbe esserne esempio.

 

La Via Francigena, infatti, è un patrimonio di culture e della nostra stessa storia tanto che è stata dichiarata “Itinerario del Consiglio d’Europa” assumendo una dignità sopranazionale al pari del Cammino di Santiago di Compostela.

 

Proprio nella vigna alle Nicchie, dalla quale Leonardo produce l’omonimo cru di tempranillo “Vigna alle Nicchie”, si possono trovare ceppi centenari tutti contrassegnati ed ancora studiati dall’Università di Firenze, a confermare una storia che viene da lontano.

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www.pietrobeconcini.com

Pesci (20 Febbraio – 20 Marzo)

foto_PiscesPesci (20 Febbraio – 20 Marzo)

Chi è nato sotto il segno dei Pesci è un tipo sognatore, dall’inconscio molto sviluppato e mentalmente caotico. Il nativo si abbandona spesso ad eccessi alimentari per compensare una vita che spesso non corrisponde alle sue aspettative. I Pesci sono golosi, amano la fantasia, l’accuratezza dell’esecuzione e della presentazione. Prediligono cibi morbidi e succulenti. La tavola per i nati dei Pesci dovrà essere armoniosa, confortevole, sui toni azzurri o colori delicati.

Acquario (21 Gennaio – 19 Febbraio)

foto_AquariusAcquario (21 Gennaio – 19 Febbraio)

Chi è nato sotto il segno dell’Acquario è di carattere anticonformista ed emotivamente distaccato dalla realtà quotidiana; è difficile che abbia una particolare cura del proprio corpo e della salute, quindi tende a mangiare di tutto. Gli acquari hanno gusti tradizionali e semplici; alle volte si convincono di non sopportare certi alimenti e quindi è bene sapere in anticipo quali siano le cose che non tollerano. Amano le atmosfere classiche, soft e le sorprese; sono dei commensali di piacevole compagnia.

Capricorno (22 Dicembre – 20 Gennaio)

foto_CapricornCapricorno (22 Dicembre – 20 Gennaio)

I nati sotto il segno del Capricorno hanno una costituzione generalmente nervosa che gli crea fragilità; il rapporto con il cibo può essere quindi fonte di forte disinteresse oppure di grande passione. I Capricorni amano la convivialità e apprezzano i cibi costosi. L’apparecchiatura dovrà essere ricca con una presentazione perfetta e dare l’impressione di opulenza; i nati sotto questo segno sono anche ipercritici e quindi attenti ai particolari.

Sagittario (23 Novembre – 21 Dicembre)

foto_SagittariusSagittario (23 Novembre – 21 Dicembre)

I nati sotto il segno del Sagittario sono in genere dei buoni mangiatori; il loro fisico robusto giustifica questa fame insaziabile. I Sagittari non sono troppo complicati come gusti: sono delle buone forchette dall’appetito ineguagliabile. Amano piatti sostanziosi ma semplici completati da frutta e dolciumi assortiti. L’apparecchiatura della tavola e la presentazione dei cibi dovrà essere essenziale ma fantasiosa.

Scorpione (23 Ottobre – 22 Novembre)

foto_ScorpioScorpione (23 Ottobre – 22 Novembre)

I nati sotto il segno dello Scorpione hanno un temperamento spinoso ed è difficile farli sottostare ad un sano regime alimentare specie se non sono convinti della necessità di una dieta. Il nativo apprezza che gli si chieda che cosa preferisce mangiare; ama iniziare il pasto con tanti stuzzichini diversi, curiosi, insoliti, saporiti. E’ attratto dai cibi misteriosi, complicati, raffinati, i piatti esotici e da indovinare; apprezza una tavola ricca, ben decorata.