In bilico tra una vacanza, un’avventura e un viaggio nel tempo…
Cuba ti “inghiotte” e ti catapulta in dietro di settanta, ottanta anni;davvero ci separano solo 6 ore di fuso orario?
Difficile lasciare l’isola senza essersi sentiti almeno per un po’ parte di questo mondo!
Provate ad immaginare di non aver più la vostra carta di credito,il gps ad orientarvi, nessun supermercato per ogni evenienza, nessun negozio aperto ventiquattro ore e…niente internet!! E questo è solo l’inizio…
Lasciata la frenesia festosa dell’Avana, scivolando per le strade, tra bananeti, palme di cocco, immense piantagioni di canna da zucchero, su “carrettere” animate per lo più da cavalli, carretti, bici, cani, galli, talvolta maiali, sembra un altro mondo.
Bastano pochi giorni di viaggio poi per sentirsene parte. Cominci a “masticare” un po’ di spagnolo; impari a rispondere a tono ai jineteros, sempre a caccia di turisti da adescare; ti innamori dei gustosi desayunos preparati dalla simpatica ed affettuosa signora che ti ospita nella sua Casa Particulare…sei in trappola!
Forse all’inizio ci si può sentire un po’ spaesati, non sapendo cosa aspettarsi, ma poi smetti di chiedertelo e ti godi Cuba.
Cartina stradale in una mano, macchina fotografica nell’altra, un po’ di fantasia e…non serve nient’altro: se ti perdi, c’è sempre qualcuno lungo strada a cui chiedere; per la notte, le CaseParticular sono un rifugio più che accogliente e molto economico; a cena ti puoi sbizzarrire nei Paladar e mangiare aragosta e mango fino a farseli venire a noia e per combattere il caldo puoi provare il mojito o il CocoLoco (acqua di cocco, rum e miele).
Di città, in città, con l’aiuto di qualche Museo de la Revolución, dela LuchaClandestina, de la Comandancia del Che, attraversando immense Plaza de la Revolución, create proprio per ospitare il pueblo pronto a combattere per la propria patria, esortati lungo strada dagli immancabili cartelloni “Patria o muerte”, “Hasta la victoria siempre”, “La revolución ante todos”…, è inevitabile non essere toccati da questo forte sentido comune.
Uno dei luoghi più coinvolgenti è Santa Clara, passata alla storia perché nel dicembre 1958 Ernesto Che Guevara e una banda di scalcinati barbudos (barbuti) fecero deragliare un treno blindato che trasportava armi e più di 350 soldati governativi: questo segnò l’inizio della fine della dittatura di FulgencioBatista e il trionfo della rivoluzione cubana. La ruspa utilizzata per l’assalto è ancora conservata nel punto esatto, dove i binari sono stati interrotti e il corso della storia è stato così cambiato.
A Santa Clara si trova anche il mausoleo con le spoglie del Che, sormontato da un’immensa statua che lo raffigura, con la sua aria fiera, un po’ giocosa, molto umana, ma anche caparbia e combattiva; all’interno arde una fiamma perenne, accesa da Fidel Castro nel 1997, quando le spoglie del Che e di altri combattenti furono riesumate da una segreta fossa comune in Bolivia e subito religiosamente inumate in questo suggestivo monumento. “In una rivoluzione si vince o si muore” era il suo motto.
Un altro luogo denso di storia è la caserma Moncada di Santiago, che si guadagnò fama imperitura la mattina del 26 luglio 1953, quando un centinaio di rivoluzionari, guidati dall’allora semisconosciuto Fidel Castro, assalirono le truppe di Batista in quella che all’epoca era la seconda più importante guarnigione militare di Cuba. Venne dato l’allarme e i ribelli furono presi tra due fuochi: otto di loro morirono, cinquantanove furono catturati e torturati a morte, ma fu proprio il disgusto dell’opinione pubblica per le brutali esecuzioni (le cui agghiaccianti foto sono esposte nel museo) a innescare una scintilla che sei anni più tardi avrebbe fatto esplodere la bomba. Fidel scappò, fu catturato una settimana dopo, condannato a 15 anni e durante il processo pronunciò la celebre frase “La historia me absolverá.”.
Tutto il movimento rivoluzionario si chiama “26 de julio” proprio perché la data ha segnato il “punto di non ritorno”.
Così Cuba continuamente ti coinvolge nella sua storia e ti ritrovi con il naso all’in su ad ammirare uno dei tanti murales del Che, di Fidel o di Camilo. Sì, Camilo Cienfuegos, valente comandante delle truppe rivoluzionarie, secondo solo a Fidel in quanto a popolarità, fedele amico e compañero in battaglia del Che.
Durante il primo discorso ufficiale in pubblico di Fidel, con Camilo in piedi sul podio dietro di lui, dopo due ore di pontificazione, il comandante si girò e gli chiese: “Voybien Camilo?”, “Va bien Fidel!”. La frase divenne presto la parola d’ordine della rivoluzione, rafforzata dal fatto che in quel preciso istante una colomba bianca si posò sulla spalla di Fidel.
La storia è accecante a Cuba, ma la musica è assordante! Nelle piazze, per le strade, dalle case con le porte sempre spalancate, suonata da complessi più o meno improvvisati, la salsa è ovunque e, per quanto tu sia stanco dalla giornata trascorsa da viaggiatore, la voglia di seguirne il ritmo è forte. Poi ti ci abitui e diviene la colonna sonora del viaggio, insieme alle melodie anni ’30 di Benny Moré, il Frank Sinatra cubano.
Altra cosa a cui inevitabilmente finisci per abituarti ed affezionarti è la vita per strada, tra i vicoli colorati, punteggiati di casette coloniali, decadenti, sonnolenti, ma fascinose: chi gioca a domino, chi chiacchera, chi osserva svogliato, chi vende frutta o pan suave y mantequilla (pane soffice e burro), chi non fa proprio nulla, ma le porte non sono mai chiuse e le città sembrano un unico immenso luogo di ritrovo.
Credo sia difficile soffrire di solitudine in un posto del genere ed anche te, turista-viaggiatore, cominci a fare amicizia per strada, a chiacchierare con compañeros che ti accompagnano lungo il tragitto, parlando di tutto, per lo più raccontandosi a vicenda i propri diversi mondi.
Una delle zone paesaggisticamente più suggestive è la Valle de Viñales, nell’estremo ovest, incassata in modo spettacolare all’interno della montuosa Sierra de losÓrganos. Lunga 11 km e larga 5, è stata dichiarata nel 1999 Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO per le sue surreali formazioni calcaree dalla cima piatta (mogotes), che si elevano come enormi mucchi di fieno sulle fertili piantagioni di tabacco.
In origine l’intera zona era più elevata di alcune centinaia di metri, ma, durante il cretaceo, una rete sotterranea di corsi d’acqua favorì l’erosione del calcare, creando grandi caverne, come la Gran Caverna de Santo Tomás, esplorabile per 1 km (è composta da ben 46 km di gallerie su otto livelli), muniti d caschetto e lampada frontale. Qui si trova anche il Mural de la Prehistoria: un murales lungo 120 m, realizzato sul fianco di un mogote nel 1961 da LeovigildoGonzálezMorillo, un seguace del pittore messicano Diego Riveira. Dipinto su una roccia ai piedi della Sierra de Viñales, questo murales mastodontico, commissionato da Fidel con l’intento di rappresentare l’evoluzione dell’uomo socialista, richiese il lavoro di diciotto persone per ben cinque anni.
La vera “attrattiva” della zona è, però, la coltivazione del tabacco ad opera dei vegueroso campesinos, i tipici contadini con cappellone di paglia e camicia bianca, che si prendono cura con dedizione dei campi e delle loro finca. Volentieri ti accompagnano in lunghe passeggiate tra le coltivazioni, spiegando nei dettagli come si arriva a produrre un buon cohiba. I semi vengono posti in un miscuglio di sabbia e cenere, nei mesi di settembre-ottobre e, dopo quarantacinque giorni, i germogli vengono trapiantati nei campi, in lunghi filari. Quando la pianta raggiunge l’altezza di un metro e mezzo, viene recisa la gemma centrale, per favorire la crescita delle foglie. Queste si raccolgono da gennaio a marzo e vengono poste ad essiccare nei secaderos, enormi capanni di foglie di palma. Qui vengono lasciate per circa due mesi, poi l’80% del raccolto viene mandato allo Stato, mentre il 20% resta alla famiglia del veguero. Ora è il momento della fermentazione, che il campesino effettua in maniera completamente naturale: ogni foglia viene spruzzata con una mistura di rum, miele, arancia, lime e guayava (tipico frutto cubano, con la buccia verde e la polpa rosa) e poi posta in una sorta di baule fatto con la parte più esterna del tronco del banano. Le foglie di tabacco così si conservano con la giusta umidità necessaria per essere poi ritorte a formare un buon sigaro artigianale; impossibile lasciare l’isola senza averne provato uno, al tramonto, osservando il sole che tinteggia di rosso i mogotes.
E quando, infine, siete stanchi di esplorare le strade di Cuba, piene di buche ma anche di scorci mozzafiato, potete stendervi sulla sabbia bianca di un Cayo o di una lunga Playa, all’ombra di una mangrovia, sorseggiando Daiquiri proprio come Hemingway.
Romantica, vivace, rivoluzionaria, Cuba penetra nel cuore e torni a casa con gli occhi pieni di immagini di vita quotidiana, nelle orecchie ancora la salsa, conservando l’odore del tabacco e il sapore dei gustosi frutti tropicali.
(Camilla Mori)